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Marco Cremonesi per il “Corriere della Sera”
Non che fosse la prima volta. Matteo Salvini era già stato il bersaglio di uova e ortaggi, per esempio a Palermo lo scorso febbraio. Ieri, la sceneggiatura si è ripetuta a Livorno, dove il segretario leghista è stato preso di mira senza risparmio da un gruppetto di attivisti. Lui, con l’automatismo di chi conosce i meccanismi della comunicazione, non ha avuto bisogno di pensarci un istante: ha raccattato uno dei pomodori e con quello in mano si è fatto riprendere da fotografi e telecamere: «Chi mi ha contestato è uno sfigato, squadrista e balordo dei centri sociali».
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Il copione è ormai fisso. Salvini arriva in un luogo qualunque e immancabilmente trova ad attenderlo un drappello di contestatori, quasi sempre (ma non solo) appartenenti ai centri sociali. A volte c’è chi lancia ortaggi, sempre c’è chi esibisce striscioni, qualcuno (come ieri) brucia una bandiera della Lega. Ma a volte ci sono anche i violenti. Gente determinata a cercare lo scontro fisico e che tenta di rompere la barriera delle forze dell’ordine.
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È accaduto a Bologna, è accaduto a Torino come a Milano. Insomma, è certificato che il capo di un partito politico non può presentarsi a un comizio senza dover essere scortato da frotte di agenti in assetto antiguerriglia e costretti a prepararsi al peggio. La libertà di parola va garantita con caschi e scudi e così Salvini ha buon gioco: «Questi parlano di “democrazia” ma non sanno cos’è, questi saranno in piazza il 25 aprile ma sono i nuovi squadristi».
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E in effetti, qualche volta il contatto fisico avviene: «Mi spiace solo che abbiano messo le mani addosso a due donne ai banchetti, il che dimostra la pochezza di certi imbecilli». Dal canto suo, Salvini ha imparato non soltanto a farsene una ragione, ma anche a trasformare l’impiccio in un fattore di propaganda: la foto con pomodoro di ieri testimonia il passaggio ormai compiuto.
Però, Salvini rilancia. Rilancia sempre. Di solito, promettendo un ritorno sul luogo delle contestazioni. Come ieri: «C’erano quattro dei centri sociali, a cui diamo ragione di vita. Ma io a Livorno ci torno». A suo merito, va detto che di solito non lo fa. In compenso, a Scandicci, il capo leghista è stato accolto alle porte di un’area occupata da rom e senzatetto da una piccola ruspa portata fin lì da un militante, in omaggio alle dichiarazioni sul «radere al suolo» i campi rom.
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Anche qui, il copione è noto. Prima, una battuta senza troppo controllo. Non solo nei confronti degli anti leghisti: «Sono tanti gli amministratori che con Renzi o la Boschi penso che userebbero le mani, ma non per fare carezze». Poi, la spiegazione che circostanzia e riduce la portata delle prime affermazioni. Intanto, la sparata entra in circolo e rischia di farsi senso comune: su Facebook, se ne leggono di grosse. Ma che sarà mai, solo fiammate da social network.
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