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1 - USA: ANCORA STALLO SU FISCAL CLIFF, TESORO ANNUNCIA MISURE STRAORDINARIE. OBAMA TORNA A WASHINGTON PER RIPRENDERE TRATTATIVE
Radiocor - E' ancora stallo nella trattativa per evitare il 'fiscal cliff' negli Stati Uniti, ma il tempo a disposizione e' ormai agli sgoccioli. Il segretario al Tesoro Usa, Timothy Geithner, ha reso noto ieri in una lettera inviata ai membri del Congresso che il tetto del debito (16.394 miliardi di dollari) sarà raggiunto il 31 dicembre, lunedì prossimo, e non nel corso del 2013. Se quindi non ci sarà un accordo, il 2 gennaio il Tesoro adotterà misure straordinarie per rinviare il default del Paese. L'obiettivo, quindi, e' prendere tempo, con un intervento da 200 miliardi di dollari, ma non e' chiaro per quanto tempo le misure straordinarie resteranno in vigore: 'Il Tesoro - ha detto Geithner - fornirà ulteriori chiarimenti sulla durata di queste misure quando il quadro politico sarà più chiaro'.
Intanto, proprio perché il quadro politico si chiarisca, il presidente Usa, Barak Obama, ieri ha interrotto la vacanza alle Hawaii per essere oggi a Washington e riprendere le trattative con i Repubblicani. Ieri non si sono fatti passi avanti, per evitare la pericolosa stretta tra aumenti di tasse e tagli alle spese, con le due parti ferme sulle loro posizioni. La preoccupazione negli Stati Uniti è a livelli altissimi, tanto che persino la grande catena di caffè Starbucks si è mobilitata: pur di evitare le disastrose conseguenze del fiscal cliff, il numero uno Howard Schultz ha chiesto ai camerieri dei 120 punti vendita dell'area di Washington di scrivere tra oggi e domani, giorni cruciali per la trattativa, 'Come together' sui bicchieri di carta, prima di consegnarli ai clienti.
2 - BILANCIO USA, OBAMA STRINGE I TEMPI
IL 31 DICEMBRE IL TESORO ARRIVA AL TETTO DEL DEBITO. IL PRESIDENTE INTERROMPE LE VACANZE E TORNA A WASHINGTON
Giuseppe Sarcina per "Corriere.it"
Incertezza, diffidenza. Wall Street traduce in numeri i ragionamenti politici di Washington e lo stato d'animo degli americani. All'apertura delle quotazioni, ieri mattina, l'indice Dow Jones accoglie con un saltello, un più 0,17%, la notizia diffusa la sera di Natale dalla Casa Bianca: il presidente Barack Obama rientra in anticipo dalle vacanze alle Hawaii per tornare al tavolo del negoziato sul «fiscal cliff». Poi in serata scende poco sotto l'asticella dello zero, (chiudendo a - 0,19) man mano che riprendevano a intrecciarsi i veti di repubblicani e democratici. La Borsa, dunque, tiene i sensori iperattivi anche se per il momento concede poco al nervosismo.
Sei giorni per evitare il «baratro fiscale», un gettone da 600 miliardi di dollari tra aumenti di tasse e tagli alla spesa pubblica che rischia di gelare la ripresa americana e, di rimbalzo, frenare le economie di mezzo mondo, a cominciare da quella europea. Senza contare che, in serata, il Tesoro comunicava che il governo americano toccherà il limite consentito di debito pubblico (16.400 miliardi di dollari) il 31 dicembre, aggiungendo, quindi, ulteriore pressione alla trattativa sulla struttura del bilancio. Il confronto è complicato perché mette insieme le urgenze del ciclo economico e le identità stesse dei due blocchi politico-sociali del Paese.
Il filo si era interrotto il 21 dicembre, quando il leader dei repubblicani alla Camera, John Boehner aveva dovuto ritirare la sua proposta («il piano B») semplicemente perché i suoi compagni di partito non l'avrebbero votata. La misura cardine, in quel caso, era un (leggero) aumento delle tasse per le famiglie con un reddito annuale superiore al milione di dollari. In realtà il «fiscal cliff» è un groviglio in cui si sommano le politiche degli ultimi trent'anni che risalgono addirittura alla presidenza di Ronald Reagan. Da una parte l'idea liberista (e dunque repubblicana): la fascia più ricca della popolazione è quella che produce reddito e posti di lavoro e dunque va agevolata, non certo colpita da imposte pesanti. Le risorse vanno cercate tagliando la spesa pubblica, in particolare razionalizzando lo stato sociale.
Dall'altra la concezione più redistributiva (e quindi sostenuta dai democratici): occorrono risorse fiscali da prelevare sui redditi più cospicui per sostenere i disoccupati e lo stato sociale (pensioni, assistenza medica per anziani e poveri). Vista così la frattura sembra insanabile, ed effettivamente lo è da 18 mesi, perché ciascun campo chiede di intervenire pesantemente nella retrovia sociale (e ideologica) dell'altro. Il punto è che senza un compromesso gli Stati Uniti vanno incontro a una stretta fiscale pari al 5% del prodotto interno lordo e rischiano di cadere in recessione economica nel corso del 2013, con inevitabili ripercussioni sull'occupazione: il tasso dei senza lavoro salirebbe dal 8,3% al 9% e circa 2,1 milioni di disoccupati perderebbero il sussidio pubblico.
Ora l'iniziativa torna in pieno nelle mani di Obama. Questa volta si riparte dal Senato, controllato invece da una maggioranza democratica. Il presidente ha già fatto capire di essere pronto a ridimensionare le aspettative di un grande accordo e, si presume, a rivedere l'attuale posizione sostenuta dai democratici: nessuna esenzione fiscale per i redditi oltre i 250 mila dollari all'anno. In parallelo Obama potrebbe concedere qualche taglio di spesa in più ai repubblicani, preservando però i programmi di Medicare (l'assistenza medica per gli anziani). La Casa Bianca proverà a convincere la minoranza repubblicana del Senato, guidata da Mitch McConnell, per poi ritornare all'osso più duro, confrontandosi di nuovo con lo schieramento avversario alla Camera. Saranno sei giorni di pressioni e di ammiccamenti. Fino all'ultima ora utile, che potrebbe essere anche il giorno di Capodanno, confidando sulla tregua dei mercati: Wall Street riaprirà il 2 gennaio.
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