1. È VERO, “IN ITALIA CON LA CULTURA NON SI MANGIA”, MA SI INGRASSA COME PORCELLINI! 2. IL CASO GAUDIOSO DEI CUGINI GIOVANNI MINOLI E GIOVANNA MELANDRI NON SI BATTE: QUANDO IL DUPLEX MIBAC TI DICE CHE STA PER LASCIARE, TI HANNO GIÀ OCCUPATO CASA 4. IL CASO STEPHANE LISSNER, COCCO DELLA SINISTRA RADICAL CHIC, CON LA BENEDIZIONE DI UN FRATELLO ACQUISITO DI BERLUSCONI, BRUNO ERMOLLI

1. DAGLI ENTI ALLE FONDAZIONI, UN GRUPPO DI "MANAGER " INCASSA STIPENDI DA FAVOLA. QUASI SEMPRE A SPESE DELLO STATO
di Malcom Pagani per Il Fatto

Nel paese dei balocchi, solo le mani solo più lunghe del naso. E si allungano felici, su stipendi da favola, perché il filosofo Giulio Tremonti, spiritoso costituente della madre di tutte le fandonie: "Con la cultura non si mangia", dimenticava il ruolo dei direttori artistici. Invece di mandarli in pensione, come auspicava Battiato, gli addetti alla cultura sono arrivati fino a noi.

Strapagati, al centro di fondazioni private in cui di privato (e nascosto) c'è solo il compenso. Se i conti piangono, infatti, ecco il soccorso statale. Per commissariare enti o sanare bilanci che negli ultimi 20 anni, vedi Maggio fiorentino, ci sono costati 300 milioni di euro.

L'opera gratuita, nelle sfere culturali, non è prevista. Così la democratica presidente del Maxxi, Giovanna Melandri, irritata per le polemiche sul suo stipendio, si impegna nel grottesco e confonde il diritto di critica con la diffamazione. Nell'attesa di far conoscere l'entità del suo salario (che non è un obbligo come sostiene altera, ma una possibilità) Giovanna promette querele.

Si inizia con Dagospia (con tanto di brezneviano, allucinante comunicato ad personam). Altri seguiranno, scelti nel mucchio dei troppi stolti che si ostinano a non cantarne le lodi. Altri, più accorti, godono in silenzio. Il campione del genere è francese, si chiama Stephane Lissner e con la benedizione di un fratello acquisito di Berlusconi, il ragionier-Cavalier del lavoro Bruno Ermolli (il Gianni Letta lombardo, nel Cda di Mediaset e Vicepresidente della Scala) si è fatto nominare nel 2005 sovrintendente della sacra cattedrale lombarda. Se Ermolli non si è spinto fino alla Laurea, Lissner, ha studiato invece la possibilità di trasformare Milano nella sua America.

MISSIONE COMPIUTA. Ha trovato moglie, amici e tesori. Un autista e una traduttrice a carico della Scala, oltre a una meravigliosa abitazione in Brera (80.000 euro l'anno a spese dei contribuenti), 435 mila euro di stipendio più 150mila di premio di risultato (sempre raggiunto!). Tasselli che lo hanno elevato alla soglia del signor Bonaventura: un milione, lordo, per lui e per i suoi famuli. Ora Lissner, appena nominato a un'altra ricca sovrintendenza, quella dell'Operà di Parigi, vicino al Duomo si è trovato bene. Satollo. Felice. Sordo alle polemiche, alle stroncature e alle critiche degli abbonati.

Così per togliere le tende nel 2015 (Lissner, infatti, in attesa dell'arrivo del sostituto Pereira , mantiene la carica palesandosi in città per pochi giorni al mese) il manager francese pretende un altro regalino, l'ultimo, una buonuscita di 300.000 euro. Soldi che gli sarebbero stati dovuti per contratto, ma solo al termine dei 5 anni. E che comprensibilmente, dopo il rinnovo fino al 2017 firmato nel 2012, seguito da rapido voltafaccia con fuga, qualcuno vorrebbe non riconoscergli.

Ma a visir del Massimo di Palermo. In un contesto molto precario, la magìa: 180.000 euro e le altre consuete regalìe di cui sopra. Il sodale di Alemanno, Catello De Martino, all'Opera di Roma, è meno esoso. Gli bastano 160.000 euro, circa la stessa cifra per il presidente del Regio di Torino, Vergnano e poco meno per Rosanna Purchia al San Carlo di Napoli. Nulla, si fa per dire, rispetto alla cifra incassata dal perito agrario in quota Lega Francesco Girondini che rimirando le ombre dell'Arena di Verona e volgendo ogni mattina lo sguardo al dio padano che lì l'ha paracadutato, si crogiola nei suoi 250.000 euro.

Più del doppio di quanto percepisca a Cagliari, la contestatissima Marcella Crivellenti. A nord, incontriamo la Biennale di Venezia. Al comando, l'ex ministro e banchiere Paolo Baratta che per presiedere ottiene 160.000 euro. Poco meno del suo Dg, Andrea Del Mercato e molto meno di Carlo Fuortes (200.000 come Ad del-l'Auditorium di Roma) più spiccioli ottenuti come commissario del Petruzzelli di Bari.

È UN BEL PAESE, il nostro, anche per il simpatico Roberto Cicutto alla guida di Luce-Cinecittà. Per lui 170.000 euro, un po' di più dell'ex di Publitalia Rodrigo Cipriani, fermo alle stesse latitudini, ma con "soli" 140.000 euro. Gemello di busta paga, Don Rodrigo, del Dg del Centro Sperimentale di cinematografia, Marcello Foti.

Tutto sulle spalle dello Stato, in una città, Roma, in cui accenti e misteri di Fàtima coincidono con quelli legati a Zètema, la controllata del Comune che gestisce tutti, ma proprio tutti, gli eventi di un certo peso in città e il cui presidente e Ad, Marcolini e Ruberti, nuotano in cifre consolanti. Soldi pubblici, naturalmente, come quelli che le fondazioni private da sempre attaccate alla mammella statale, sono tornate a chiedere.

Una questua insistente, una forma di stalkeraggio, volta a pretendere e ottenere dal Ministero dell'istruzione, per 200 istituti culturali il riconoscimento dello status di enti di ricerca. Un espediente utile ad aggirare le strettoie della Legge 78 del 2010, firmata Tremonti, che negava la possibilità di uno stipendio per i presidenti delle Fondazioni.

Ora le agognate palanche ci saranno, ma il mite Bray, in un sussulto d'orgoglio, ieri, dopo aver reintegrato il tax credit per il Cinema, ha preteso l'inserimento di un decreto per la trasparenza degli stipendi di chi le dirige. Con una postilla: chi non pubblica le cifre, non vedrà un euro. Melandri giura che della metamorfosi del Maxxi in ente di ricerca, non sapeva nulla. Avrà lo stipendio, ma passerà alle vie legali, dichiara con notevole sprezzo del ridicolo, se qualcuno oserà anche solo supporlo. Se scriviamo che è lieta della soluzione trovata per il Maxxi, passeremo l'inverno in tribunale?

2. M&M, CUGINI SEMPRE IN PIEDI
di Carlo Tecce per Il Fatto


A Giovanni Minoli è andata male, poi s'è ripreso. Voleva celebrare la prima guerra mondiale con qualche mese, decine, d'anticipo: per l'Unità d'Italia aveva proseguito sino al 152esimo compleanno in Rai, il contratto da 2,5 milioni di euro al pensionato Minoli fa ancora sobbalzare le scrivanie.

In un momento di totale sconforto, il giornalista che intervistava Craxi al supermercato mandò in frantumi anche la prestigiosa poltrona al Museo di Rivoli. Nessun passo indietro. "Neanche per sogno. Non accetterei. In passato mi sono dato disponibile. Ora siamo al capolinea".

Qualche giorno fa, un comunicato ufficiale, e tanto commosso, ha annunciato il ritorno (non era mai partito, però) di Giovanni Minoli, che si è accasato pure a Radio 24. I cugini Minoli e Melandri non si battono: quando ti dicono che stanno per lasciare, ti hanno già occupato casa.

 

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