DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Marco Valerio Lo Prete per "il Foglio"
Un euro forte per la Germania e gli altri paesi del nord Europa; un euro debole per i paesi mediterranei e periferici. In questo modo alcuni stati non saranno costretti a sobbarcarsi i debiti altrui, mentre gli altri avranno un’ultima occasione di avviare riforme senza invocare a ogni piè sospinto stampelle esterne. “Euro uno” ed “euro due”: una separazione della moneta unica più consensuale che no, con un prezzo da pagare certo, ma comunque un allontanamento più temporaneo che definitivo.
“E in questo caso, come la mettiamo con la Francia?”, ha risposto una volta – scherzando, ma anche no – Wolfgang Schäuble, ministro delle Finanze tedesco, al suo omologo di un paese nordico che gli aveva sottoposto il piano di cui sopra. Un piano che il ministro in questione non aveva inventato da sé, ma letto in un saggio di Allan Meltzer che lo stesso Schäuble aveva compulsato.
Bostoniano classe 1928, a 86 anni Meltzer è conosciuto come l’autore di una monumentale storia della Federal reserve, due volumi, 1.500 pagine in tutto per raccontare la politica monetaria americana fino al 1969. Con tanto di complimenti del Maestro, l’ex governatore Alan Greenspan. Consigliere di Ronald Reagan per due anni, fortemente allergico allo stato, Meltzer è oggi presidente uscente della Mont Pelerin Society, un esclusivo club internazionale di personalità liberali e liberiste già presieduto da Friedrich Von Hayek, Bruno Leoni, Milton Friedman e Kenneth Minogue.
Raggiunto dal Foglio, sul siparietto di cui sopra tra i due ministri dell’Eurozona non smentisce nulla, ma si limita a dire: “Non faccio politica, mi capisca. Però so per certo che alcuni ministri europei conoscono bene la mia proposta dei due euro”. I contenuti prima di tutto, dunque. E’ ancora valida la sua idea, presentata nel settembre 2011 in un intervento sul Wall Street Journal, sotto il titolo “Lasciate l’Europa ai Pigs”, dove per “Pigs” s’intendono i paesi periferici dell’Eurozona (Portogallo, Irlanda o Italia, Grecia e Spagna) ma anche i “maiali”?
E se la sentirebbe ancora di “congratularsi” – come fece allora – con Jurgen Stark, a quel tempo capo economista della Banca centrale europea (Bce), e il presidente della Bundesbank, Axel Weber, entrambi dimessisi in malcelato dissenso con le prime scelte espansive della Bce e per “riaffermare i princìpi per cui la Bce era nata”?
“Attenersi a dei princìpi è quasi sempre giusto”, risponde secco Meltzer. Intanto però la Federal reserve del suo paese ha appena sancito la fine del Quantitative easing (Qe), o allentamento monetario, uno dei più grandi esperimenti di politica monetaria non convenzionale della storia contemporanea, e la ripresa americana sembra averne beneficiato.
“A proposito di princìpi, la Fed non ne ha più. Il Qe2 e il Qe3 sono stati degli errori fondamentali. I problemi degli Stati Uniti non sono monetari, sono reali. Troppe tasse, troppe regolamentazioni, una progressiva criminalizzazione delle corporation. Ecco perché, nel mio paese, gli investimenti latitano”. A suo modo Meltzer fornisce una spiegazione, quantomeno non mainstream, di quella che altri chiamano “stagnazione secolare”, cioè della situazione in cui il cavallo non beve anche se la tinozza d’acqua è stata riempita fino all’orlo (vedi i tassi d’interesse ai minimi storici).
“Aggiungo pure che la Fed ha pompato trilioni di dollari nelle banche, eppure sento qualcuno festeggiare per il fatto che non si vede inflazione – dice il professore di Economia politica alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh in Pennsylvania – Io sono convinto però che siamo soltanto a metà della partita, presto banche e istituzioni finanziarie si dovranno liberare di tale liquidità in eccesso nei propri bilanci, superiore ai 2,5 trilioni di dollari, e allora buona fortuna all’America”.
Torniamo a chi, di fortuna, ne avrebbe bisogno qui e ora: l’Eurozona. “Anche per voi, è inutile continuare a chiedere soldi alla Bce guidata da Mario Draghi – dice Meltzer – I vostri problemi sono tutt’altro che monetari. Il punto di fondo è che i prezzi relativi di paesi come l’Italia e la Francia sono oggi troppo superiori rispetto a quelli della Germania e degli altri paesi nordici. Tali prezzi dovrebbero diminuire in Italia e Francia”.
Meltzer non crede a un Quantitative easing all’europea o agli Eurobond, innanzitutto perché non li ritiene una scelta saggia. “La Germania da anni tiene una linea che è teoricamente condivisibile. Quel paese negli anni 90 era il malato d’Europa. Poi ha fatto le riforme, soprattutto con il governo del socialdemocratico Gerhard Schröder, e oggi semplicemente chiede a tutti gli altri europei di fare altrettanto. E’ quanto oggi Berlino vi continua a ripetere, o sbaglio?”.
Non sbaglia. Il problema, secondo Meltzer, è che la transizione per arrivare a un’Italia o a una Francia debitamente “riformate”, e un po’ più tedeschizzate, necessita di tempo, è inutile negarlo. “Le regole dell’economia sanno essere dure come pietre – dice lo studioso – E oggi per l’Eurozona esistono soltanto tre scenari possibili. Nel primo scenario, i paesi del nord spendono e investono molto di più, sostenendo così la domanda interna ai loro paesi e spingendo la crescita degli altri. Non mi pare che accadrà mai”, sintetizza brutalmente lo studioso americano.
“Nel secondo scenario, i paesi periferici dell’Eurozona attraversano un periodo di deflazione”. Quella del calo dei prezzi in terreno negativo sarebbe tuttavia una fase “lunga e dolorosa”, al punto che si potrebbe arrivare stremati alla meta che consiste nella riconquista di una competitività a livelli tedeschi. “Oppure, ultimo scenario possibile, si svaluta la moneta dei paesi più deboli. Ma dentro la moneta unica, ovviamente, ciò è vietato”.
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