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Alberto D’Argenio per “la Repubblica”
Sono tre i passaggi della campagna europea lanciata dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Tutti fondamentali perché indirizzati a salvare il governo dal rigore cieco che i “falchi”, tra Bruxelles e altre capitali europee, vogliono imporre a Roma.
Una battaglia che si apre ora e durerà almeno fino al 2017: ottenere il via libera alla manovra 2016 (oltre che evitare il peggio su dossier come banche, Ilva e riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina), evitare una stangata in nome dell’austerità nel 2017 e cambiare i trattati dell’Unione per rilanciarla con una strategia fondata su crescita e investimenti da contrapporre ai populisti di tutta Europa.
Il primo fronte è quello sulla Legge di Stabilità approvata dal governo a dicembre. Rimandata da Bruxelles ad un esame approfondito tra marzo e giugno, la manovra rischia seriamente la bocciatura. Per questo Renzi alza i toni minacciando una battaglia politica che combatterebbe in prima persona e attraverso il gruppo del Pd, il primo del Pse, al Parlamento europeo, per mettere in difficoltà la Commissione guidata da Jean-Claude Juncker sostenuta dalla grande coalizione tra popolari e, appunto, socialisti.
A novembre, quando Bruxelles ha congelato il giudizio sulla manovra, c’era l’accordo segreto su un via libera che avrebbe permesso a Renzi di far scendere il deficit dal 2,6% al 2,2% grazie ad una flessibilità sul rigore dello 0,8% (Roma avrebbe dovuto chiudere l’anno con un disavanzo all’1,4%) pari a circa 13 miliardi. Restava sub iudice un altro 0,2% di flessibilità per le spese legate all’emergenza migranti, su cui Roma ormai aveva perso le speranze.
il palazzo della commissione europea a bruxelles
Ma dopo gli attacchi di Parigi del 13 novembre Renzi ha portato il deficit al 2,4% senza concordarlo con Bruxelles per investire in sicurezza. Mossa che ha fatto infuriare i falchi come il vicepresidente della Commissione, Vladis Dombroskis o, all’interno dell’Eurogruppo, il ministro tedesco Schaeuble e il suo presidente, l’olandese Dijsselbloem, che premono perché Bruxelles non faccia sconti a Roma (uno degli argomenti è che i 500 euro da dare ai neo diciottenni da spendere in cultura non rientra nella sicurezza).
Si racconta che il ministro Padoan sia molto preoccupato perché l’Italia in nome del Fiscal Compact rischia una procedura per deficit che limiterebbe i margini di manovra del governo in politica economica e potrebbe spaventare i mercati. Per questo il Tesoro sta limando i numeri ed è convinto di poter chiudere l’anno al 2,3%.
dijsselbloem, presidente dell'eurogruppo 7f0aea0
A quel punto, ripete Renzi, «l’Europa ci boccerebbe per uno 0,1%?». Questa la sfida a Bruxelles, tutta politica, con minaccia appunto di mettere in difficoltà la Commissione guidata da Juncker, peraltro descritto nei circoli diplomatici come indebolito da condizioni fisiche non ottimali.
C’è poi la battaglia per il 2017. La manovra del prossimo anno a bocce ferme sarà segnata da un risanamento monstre che per il governo danneggerebbe l’economia e metterebbe a rischio il taglio dell’Ires promesso da Renzi che il premier non si rimangerebbe mai (piuttosto, raccontano i suoi, andrebbe dritto allo scontro ignorando perfino una procedura per deficit).
dijsselbloem, pierre moscovici e alexander stubb 18df0
Già, perché il governo deve disinnescare 16 miliardi di clausole di salvaguardia che altrimenti farebbero salire le tasse (impossibile per Renzi) e inoltre, questa la vulgata dei falchi, dovrebbe risanare i conti almeno dello 0,5% (circa 8 miliardi). Con i paladini del rigore che addirittura interpretano le regole chiedendo di restituire in un colpo solo tutta la flessibilità di cui l’Italia ha usufruito in questi due anni.
Un vero salasso. Oltretutto gli impegni che a primavera prenderemo nel Def per il 2017 saranno valutati anche per promuovere o bocciare la manovra 2016. Per questo Renzi prepara l’offensiva alle regole Ue. «La flessibilità - è il mantra di Chigi e del Tesoro - se si rispettano i criteri deve essere concessa sempre, tutti gli anni, non una tantum».
E questo sarà il cuore della battaglia italiana. Ottenere altri sconti sul risanamento grazie alle riforme e alle politiche di investimento, pur facendo scendere deficit e debito, in modo da spalmare sugli anni a venire i sacrifici richiesti nel 2017, oltretutto anno pre-elettorale. Nel mirino di Roma anche una serie di parametri iper-tecnici come i criteri per il calcolo del deficit strutturale e della crescita potenziale che ci penalizzano nei conteggi di Bruxelles richiedendoci maggiore austerity.
Poi la battaglia finale: rendere la zona euro un soggetto davvero politico, perfettamente integrato che privilegi crescita e investimenti cambiando i trattati. Negoziato già in corso sottotraccia che formalmente partirà nel 2017.
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