DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
1 - CHE PAPÀ È SE FA CREPARE LA FIGLIA?
Filippo Facci per “Libero quotidiano”
oscar alberto martinez ramirez e la figlia valeria 2
C' erano le foto a illustrare le notizie, una volta.
Poi le foto sono diventate notizie a sè stanti, «un' immagine vale più di mille parole» eccetera, e spesso era vero: c' era poco da aggiungere.
Poi qualche celeberrimo scatto si è rivelato falso, o forzato, come quando i fotografi di guerra piazzavano giocattoli tra le macerie. Poi è arrivata l' era dei fake, foto completamente false. Ora vanno di moda queste: immagini autentiche ed evocative, ben inquadrate, con dettagli significativi, che divengono «foto shock» e sotto le quali in teoria potresti scrivere didascalie molto diverse tra loro, ma che la comunità mediatica decide di interpretare in modo univoco.
Così lo «scatto shock» di un padre con la sua bambina di due anni morti annegati nel Rio Grande, mentre cercavano di attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti, d' un tratto «indigna l' America» e diventa il simbolo della tragedia dei migranti dal Centro America, così come l' immagine del corpicino di Aylan, riverso su una spiaggia turca, divenne simbolo dell' immigrazione verso l' Europa.
LA DIDASCALIA
Una possibile didascalia, paradossalmente, sarebbe potuta essere questa: «Nella foto (associated press), uno sconsiderato padre salvadoregno che ha trascinato la figlioletta a morte sicura illudendosi di poter attraversare, come se fosse un torrente, il quarto fiume dell' America settentrionale, il Rio Grande». Invece le didascalie sono state altre.
Quei due corpi riversi a faccia in giù, immersi nell' acqua di un canneto sporca di fango, trasportati a riva dalla corrente, ritraggono la bambina ancora con le scarpette, legata al padre da una maglietta con cui l' uomo cercava di tenerla stretta a sé, e c' è il braccino della bimba ancora attorno al collo del padre.
Sono questi dettagli a fare la differenza, a trascinare giornalisti e commentatori in un vortice di emozioni e voci rotte che trasformano qualsiasi immagine, anche la più triste e pietosa - come questa - in un prodotto che va venduto nel miglior modo possibile. Senza quella foto, l' opinione pubblica mondiale non avrebbe riparlato del dramma dei migranti morti al confine tra Usa e Messico: che solo nel 2018 sono stati 283.
Nessuno, probabilmente, avrebbe precisato che nei giorni scorsi, nei pressi del Rio Grande, hanno trovato altri quattro morti: una giovane donna, due bambini e un neonato, tutti stroncati probabilmente dal caldo e la disidratazione. Il problema è che di loro non c' era nessuna foto. Gli anchorman fanno gara di commozione con i media che hanno riproposto quella foto per giorni. Altri si sono limitati a raccontare che quasi 500mila migranti, dall' inizio di quest' anno, sono stati fermati nel tentativo di attraversare il confine.
migranti assaltano confine usa messico 2
Il ministro degli affari esteri di El Salvador ha invitato le famiglie che pensano di espatriare a ripensarci: «Non rischiate». E ora, che cosa ha rinfocolato le polemiche politiche? Non che la Camera a maggioranza democratica abbia stanziato 4,5 miliardi di dollari da destinare alla crisi del confine sud, non che la Casa Bianca abbia già annunciato il proprio veto, non che il responsabile federale che gestisce i campi al confine col Messico - quelli dove vengono tenuti i bambini separati dalle famiglie - si è dovuto dimettere dopo la scoperta che i bambini mangiavano quando capitava e con scarsa assistenza medica, tanto nell' ultimo anno ne sono morti già sei. A rinfocolare le polemiche politiche è stata una foto. La cui didascalia si è deciso che sia questa: uccisi da Donald Trump, l' uomo che costringe i migranti illegali a tentare di raggiungere il Texas dal confine tra Messico e Stati Uniti, evitando il muro che il presidente ha voluto.
la carovana arriva al confine messico usa scontri e lacrimogeni 7
QUALCUNO DA INCOLPARE
Senza andare lontano, basti questo articolo di Famiglia Cristiana titolato "Il muro assassino di Trump": «L' ennesimo simbolo dei migranti che muoiono cercando di lasciare il proprio Paese per vie impervie e pericolose a causa dei muri eretti dai governi. Muri assassini, perché non fermano l' immigrazione ma rendono solo più rischiosi i modi per attraversare i confini».
Prossime puntate: mari assassini, montagne assassine. Per intanto, Trump assassino. Il quale Trump è intervenuto con un tweet e ha scritto solo questo: «Molte più persone di prima stanno venendo negli Usa perché la nostra economia va così bene, la migliore nella storia, ma noi stiamo mettendo le cose a posto, compresa la costruzione del muro».
È intervenuto anche il Papa, perché la foto l' ha vista anche lui. Ha fatto sapere che sta pregando. La giornalista Julia Le Duc, invece, è quella che la foto l' ha scattata, dapprima pubblicata sul quotidiano messicano La Jornada e poi in tutto il mondo: ha raccontato che padre e figlia erano riusciti ad attraversare il fiume, ma la madre no, dunque lui è tornato indietro lasciando la figlia sulla riva che però non ha resistito, e ha tentato di inseguirlo.
Lui l' ha ripresa, ma poi la corrente li ha trascinati via. È molto triste, ma l' importante è avere qualcuno a cui dare la colpa.
2 - IL CORPO DI VALERIA COME ALAN DELLA FOTO DELL' ULTIMO ABBRACCIO RESTA SOLTANTO UN' EMOZIONE
Elena Stancanelli per “la Stampa”
Altra foto altra indignazione. I bambini funzionano benissimo. Pensate a quello coi pantaloncini blu e la maglietta rossa, portato dal mare sulla spiaggia di Bodrum e raccolto dal poliziotto. Tutti indignati, e neanche riusciamo a memorizzare il suo nome. Si chiamava Alan. Non Aylan: Alan Kurdi, siriano di etnia curda. Come la nave della ong See Eye, contro la quale si è scatenata la furia del nostro governo in occasione dell' ultimo salvataggio. Un salvataggio serve a evitare bambini morti sulle spiagge.
Cos' è che non capiamo? È un ragionamento semplice. Anche quell' uomo e sua figlia Angie Valeria, salvadoregni, li hanno trovati così, a faccia in giù nell' acqua del Rio Grande. Morti affogati nel tentativo di attraversare a nuoto il confine tra Messico e Stati Uniti. La bambina era già in salvo sulla sponda americana del fiume, quando, dopo che il padre si era buttato di nuovo in acqua per andare a prendere la madre, è scivolata.
Lui è tornato indietro, ma non è riuscito a salvarla. Aveva infilato la figlia nella sua maglietta, perché non gli scivolasse via.
Ha funzionato, sono rimasti abbracciati. Altra foto altra indignazione. Qualche giorno fa è stata pubblicata l' immagine di una slitta trainata dai cani sull' acqua, in Groenlandia. E prima c' era stato l' orso bianco smagrito, e i pinguini, e le inondazioni e i fuochi in California Tutte foto terribili, emblematiche. Ci fanno stare male, malissimo. Ma si tratta di una reazione emotiva. Neanche sentimentale: puramente emotiva. Agisce su una parte precisa del nostro cervello. Quale sarà? L' amigdala? La sede dei capricci e degli innamoramenti, il luogo del cervello dove si depositano i like, i «signora mia», i «mai più»?
Quella reazione, per quanto potente, per quanto pervicace, non si trasforma mai in un gesto. Anzi, forse ci paralizza. Forse l' indignazione ha proprio l' effetto contrario, quello di trasformarci in creature rabbiose, capaci di parole furenti, ma immobili, inutili. E oltretutto ci anestetizza. Immagine dopo immagine, indignazione dopo indignazione, scivoliamo in un automatismo isterico. Azione, reazione, riposo. Il nostro ginocchio rimbalza a ogni colpo del martelletto, e poi si posa di nuovo.
Non dico che le dimentichiamo. Anzi, quelle immagini terribili stanno sempre lì a galleggiare nel nostro cervello, ma non servono a niente. Se non a commuoverci, e la commozione è un gesto egoista. Ci gratifica o ci fa sentire in colpa, ma non va da noi verso gli altri. Resta lì, sulla nostra pelle. Secondo i dati forniti qualche giorno fa dall' Unhcr, sulla Terra ci sono circa 70 milioni di persone in movimento. In fuga da guerre, persecuzioni, fame, catastrofi climatiche Più o meno una persona su cento in questo momento sta scappando da qualcosa. Non noi, certo. Gli altri, quelli più sfortunati. Scappano, sono disperati, muoiono.
E noi siamo bloccati in una specie di incantesimo, al di là di un vetro. Piangiamo, scuotiamo la testa, imprechiamo ma non riusciamo a fare niente.
Ricorderete la vicenda di Eluana Englaro. La famiglia voleva interrompere l' alimentazione forzata che considerava accanimento terapeutico. Ha combattuto per 17 anni, ma senza mai mostrare una sola immagine di Eluana in coma. Volevano condurre la loro battaglia in maniera razionale e non emotiva. Perché solo in questo modo la loro vicenda sarebbe diventata patrimonio comune, avrebbe fatto giurisprudenza, sarebbe stata utile, oltre che tragica.
mauricio salcido graffitaro ottantenne
Ricorderete però anche che il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dichiarò in quella occasione che secondo lui Eluana aveva ancora un bell' aspetto (pur non avendola mai vista) e che avrebbe addirittura potuto avere un figlio, visto che ogni tanto aveva ancora il ciclo. Cosa è rimasto della vicenda Englaro nella nostra immaginazione? Le spaventose parole del Presidente del Consiglio. Ma cosa ha aiutato a ottenere una legge sul testamento biologico? L' ostinata, lucida ragione di Beppino Englaro.
elena stancanellioscar alberto martinez ramirez e la figlia valeria 1
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