DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Roberto D’Agostino per Vanityfair.it
Sono stato giovane una volta - avevo 20 anni nel 1968 - ma sono fermamente deciso a non esserlo mai più: troppo faticoso. Prendere tutto sul serio, dire sempre di no, credere nella violenza, per non ripetere quel verso di Rimbaud: "Per delicatezza ho perduto la vita".
E allora, su il sasso, giù i capelli, cariche di poliziotti e sfoghi di studenti, katanghesi autonomi e pariolini autosufficienti, Lotta Continua e "da oggi prendo la pillola", cantautore stonato e complessino scordato, eskimo e Adidas, la frittatina al topo nell'osteria alternativa, "il privato è politico", "vogliamo tutto", "checcazzo", viva lo spino, camuffarsi da proletari o da ragazzo di riformatorio, immaginazione al potere e corteo con P38, "Sce-mo, sce-mo", Moro tra errore e terrore.
Ho creduto in cazzate e pronunciato sciocchezze. Mi rivedo riflesso in quel “rap” di Alberto Arbasino: "Dieci/undici anni di lotte - Discorsi, dibattiti, discussioni - Attentati, ferimenti, uccisioni - Per mandar Castellina e Capanna - All'assemblea di Strasburgo”.
In fondo, il sessantottismo nasceva non da un bisogno di ribellione contro la tirannia e l'ingiustizia ma piuttosto per bisogno mistico, biologico di calore umano, di "camaraderie", di fratellanza, di solidarietà. Che cos'è la gioventù, se non un popolo, un mondo, un continente che sviluppa ombrosamente i propri valori, disvalori, gusti, disgusti, sapori, abitudini di abbigliamento e, attraverso il rock (ieri) e i social (oggi), il suo particolare sistema di comunicazione? E' la "sofferenza" di diventare grandi il punto di partenza; un frenetico modo di riempire i buchi della vita, sia quelli del dolore sia quelli della noia.
Quel paradosso irresolubile che sta dietro ogni gioventù - integrarsi? ribellarsi? - a partire dagli Ottanta è stato messo da parte. E per anni la Società dei Costumi (intellettuali, sociologi, psicologi) si è occupata con fervido entusiasmo del quindicenne precipitoso, della ragazzina stupidona, del rockettaro selvaggio, della piccina brufolosa stanca di sopravvivere a una giovinezza ricca di proteine e vitamine e soldi in tasca e scuole facili e famiglie disposte a tutto, priva di ideologia, di ideali ma anche di idee, quindi priva di senso. E la matita aguzza di Altan poteva gettarla nell'olio bollente, come un sofficino Findus: "Questi giovani d'oggi non credono a niente: noi, alla loro età, eravamo pieni di delusioni".
Sorpresa: nelle settimane scorse un’onda verde di ragazzi e ragazze ha riempito le strade di ogni città del mondo per accusare il mondo degli adulti di essere sordi e ciechi di fronte ai cambiamenti climatici che stanno alterando profondamente l’habitat terrestre. Così, dopo anni di cretinismo senza limitismo, oggi, la gioventù si è rimessa in marcia infiammata dal “gretinismo”.
Oggi è Greta Thunberg l’adolescente più conosciuta e influente del pianeta. Dato che è difficile, quasi impossibile, contestarle che qualcosa si è rotto nell’equilibrio tra gli uomini e la Terra, l’obiettivo si è spostato sulle treccine di Greta. Da filosofi (Cacciari) a politici di qualsiasi risma (Trump) - perfino Radio Maria l’ha scomunicata (“Cara Greta, dopo che abbiamo buttato Dio nella pattumiera, vogliamo salvare il pianeta?”) - , uno “shitstorm” di imitazioni critiche e battutacce si è abbattuto sulla ragazzina svedese.
Ora, è lunga la scia di bambine osannate dagli ecologisti e poi sparite. Una per tutte: chi si ricorda di Severn Cullis che ebbe i suoi 15 minuti di fama nel 1992? Greta no. Greta è diventata un simbolo. Perché? Come scriveva Baudelaire: ‘’Viviamo in un'epoca in cui le cose non deformate non hanno volto”. E Greta, fisicamente, è lo specchio deformante della nostra realtà. Colpita dalla sindrome di Asperger, ha un volto difficile da decifrare, non molto sviluppata fisicamente e non esibisce i comportamenti convenzionali degli adolescenti, t-shirt, scarpe da ginnastica di marca, tatuaggi.
Una volta vista, non è possibile cancellarla dalla memoria. In più, quando va a parlare all’Onu, strabuzza gli occhi come la ragazzina della “Famiglia Addams” ma s’incazza come Giovanna d’Arco (“Come osate?”). Un discorso che si è trasformato in un bombastico “J’accuse” capace di compiere, attraverso i social, il miracolo: risvegliare, dopo decenni di abulia, una gioventù sazia e disperata.
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