FARINA DEL NOSTRO SACCOMANNI: “NIENTE DEROGHE ALL’ITALIA: IL DEFICIT RESTA AL 3%”

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Alessandro Barbera per "la Stampa"

Niente deroghe. Né quest'anno, né il prossimo. L'Italia «rispetterà gli impegni fissati con l'Europa» per il 2013 e il 2014. Se qualcuno sperava che Fabrizio Saccomanni rientrasse dal G7 di Londra con in tasca qualche sorpresa dovrà rivedere i piani. La splendida cornice seicentesca di Hartwell House - un'enorme villa in un ancor più enorme giardino all'inglese nel Buckinghamshire - non ha fatto cambiare idea al rigido commissario europeo agli Affari monetari Rehn.

Per i due era il primo faccia a faccia da quando Saccomanni è ministro. L'ipotesi ventilata a Roma che ci avrebbe dovuto permettere di chiudere la vecchia procedura di infrazione e di ottenere successivamente una deroga alle regole europee come concesso a Spagna e Francia - è archiviata.

Il ministro precisa che non ci sarà «nessuno slittamento» degli obiettivi di bilancio. O meglio: non ci sarà nessuna deroga formale. Il margine di manovra dell'Italia è negli stretti confini del 3% del rapporto fra deficit e Pil. Il che significa un margine quasi nullo quest'anno (siamo già al 2,9%), minimo l'anno prossimo: poiché l'Italia aveva programmato di raggiungere l'1,8%, il nostro margine è dell'1,2% al lordo di quel che spenderemo per pagare ulteriori arretrati ai creditori privati.

A prima vista questi numeri sembrano la chiusura da parte dell'Europa alla richiesta di più flessibilità, in realtà si tratta già di un compromesso costruito in giorni di trattative. Concedendoci di arrivare fino al 3%, Bruxelles di fatto ha già permesso all'Italia di non avvicinarsi al pareggio non solo quest'anno (obiettivo fissato da Tremonti) ma nemmeno il prossimo. Inoltre Saccomanni sa che a certe condizioni la Commissione chiuderà un occhio su alcune spese aggiuntive purché servano a stimolare la crescita. Non è il caso dell'Imu, potrebbero esserlo una riduzione delle tasse sul lavoro.

Per qualunque altra spesa che l'Europa conteggerà nel deficit «dovremo trovare le risorse, e le troveremo», dice sicuro il ministro. Tradotto: vogliamo tagliare le tasse, spendere di più per i cassintegrati o per assumere i giovani precari statali? O si sposta la tassazione altrove, o si fanno nuovi tagli. La gran parte dei lettori sarà già annoiata dai tecnicismi, ma è pur vero che da questi dipendono il successo (o l'insuccesso) del governo Letta.

Al vertice a porte chiuse di oggi a Sarteano i ministri si dovranno chiarire le idee, perché lunedì Saccomanni è atteso all'Ecofin con un programma di massima. «Chiederemo al ministro come intende far ripartire l'economia italiana, ferma da troppo tempo», riferivano pochi giorni fa fonti europee. Una formula diplomatica per chiarire che le spese non sono tutte uguali, e che l'aumento delle spese in sé sarebbe una iattura. Una precisazione banale ma forse necessaria in una fase in cui vince il mantra «oltre l'austerità».

Non solo: Saccomanni ha detto esplicitamente che per Bruxelles avere informazioni chiare sui progetti di medio termine dell'Italia è la precondizione «per chiudere la procedura di infrazione» in piedi dal vecchio governo Berlusconi. «L'Europa vuole atti pubblici. Quello è il contesto nel quale si muovono: ecco perché con Rehn ho parlato soprattutto di procedure».

Che per noi non sia il tempo delle vacche grasse lo ricorda lui per primo: «Tutti si aspettano che rispettiamo gli impegni. E tutti sappiamo che se non lo facessimo le conseguenze non le pagheremmo solo noi ma tutta l'Europa». Nella maggioranza c'è chi ha altri progetti, e dopo aver chiesto lo stop all'Imu sulla prima casa (valore quattro miliardi), ora vuole convincerlo a mettere mano alla tassazione sulle imprese, cioè all'Imu sui capannoni (gettito totale: 11 miliardi). Che ne pensa ministro? «Che la riforma dovrà essere complessiva, e che dobbiamo ancora parlarne». Mestiere ingrato, quello di ministro dell'Economia.

 

 

fabrizio saccomani SACCOMANNISaccomani