COSA HANNO IN COMUNE “IL FATTO” E “IL FOGLIO”? LA “COMPAGNA” FERILLI! - “IL CAV HA LA MIA SOLIDARIETÀ, NON DIMENTICO L’IMPORTANTE IMPRENDITORE CHE È STATO”

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1 - SAGGIA COMPAGNA FERILLI
Da "il Foglio"

E' saggia, la compagna Sabrina Ferilli. Credeva "che i buoni fossero tutti da un lato della strada e sull'altro sostassero soltanto i cattivi. Non lo penso più e credo che le idee siano più importanti delle ideologie".

Esemplare compagna sempre, di sinistra sempre, ma senza la vociante indignazione di piazza e d'appello, "ho assoluto orrore", intervistata da Malcom Pagani sul Fatto ha distillato due pagine di assoluto e militante buon senso. Persino evocando, si potrebbe dire in casa dell'impiccato, la corda penzolante: quella del Cav.

"C'è una sentenza e c'è stata una lunga inchiesta, ma no, contenta non sono. Non godo per le disgrazie altrui, e a livello umano Berlusconi ha la mia solidarietà. Non dimentico l'importante imprenditore che è stato".

Mica facile dirlo: più ancora se il Cav. mai hai votato e il Sanbittèr ad Arcore mai degustato. Sarà che ospitare da bimba al desco familiare Pietro Ingrao, e andare col babbo comunista ai comizi di Pajetta e Berlinguer, dà una diversa prospettiva rispetto al Palasharp e alle adunate di "se non ora, quando?", ma la compagna Ferilli - icona de sinistra - spiega come i lati della strada non siano fossati invalicabili, e vagare tra diversi marciapiedi sia a volte salutare - troppo da coglioni l'immobilità da paracarro.

Con accuratezza antropologica, spiega quale "religione nazionale" il fenomeno degli invidiosi: "Hanno la patente. So' strutturati forti. Non aspirano al meglio, ma cercano di abbassarti al loro livello", o certe forme di moralismo bigotto, "un cattocomunismo di ritorno in cui la frivolezza è un peccato mortale e flagellarsi è un dogma". Per capire, piuttosto che via Olgettina, a volte è meglio la sezione del Pci.

2 - TUTTI GLI UOMINI DELLA FERILLI
Malcom Pagani per "Il Fatto Quotidiano"


Un giorno, giura, scriverà la storia di Sabrina. Nascosta tra gli alberi, come l'eroina omonima di Billy Wilder o il Barone di Calvino. Ferma, in silenzio, a osservare da bambina: "Con la testa all'altezza del tavolo", la vita degli adulti che si stende oltre il giardino. In quello di Fiano Romano, veniva a cena Pietro Ingrao e l'alfabeto sentimentale della figlia di Giuliano Ferilli (ex capogruppo del Pci alla Regione, braccio destro di Maurizio Ferrara, il padre di Giuliano) alla causa, santificava anche le domeniche.

"Distribuivamo l'Unità, mio padre mi portava ad ascoltare i comizi di Pajetta e Berlinguer, sono cresciuta con l'idea dell'uguaglianza senza mai togliermi il cappello, inchinarmi, sentirmi al di sotto di nessuno né soffrire di complessi di inferiorità o assoggettamenti culturali. Non c'è patrimonio che possa comprare la fierezza. O ce l'hai o semplicemente, strisci".

Sabrina Ferilli beve tè nel giardino fatato di un albergo di Roma. Ha grandi occhiali scuri che quando libera timori e pensieri abbandonandosi al dialetto, toglie dimenticando il sole, il caldo e la curiosità. "Qui sono tutti americani" dice, intervallando freddure e ragionamenti, sigarette, battute e ricordi, senza i quali, sostiene: "Sarei perduta. Hanno la stessa importanza del presente e sono più concreti del futuro".

49 anni da tre giorni, un biglietto per Cuba nella tasca, l'immutata grande bellezza che al tempo dell'adolescenza, le diede qualche problema: "I miei coetanei erano terrorizzati, piacevo più ai padri che ai ragazzini e dal mio corpo, ero impaurita anch'io. Avevo un fisico da zia, così per amare ed essere amata, ho dovuto aspettare molto più di quanto non avrei mai immaginato". E giù con i primi baci dati con l'odore di stallatico nell'aria, tra la biada e i recinti, a margine della lezione di equitazione.

E via di primo amore: "Durò quasi 5 anni, ero persa", con un ex che adesso, per timidezza o incredulità, quando la incontra finge di non notarla. Con le "grandi tette" della Meri Luis di Lucio Dalla: "All'epoca anche solo camminare tentando di non essere volgare era un'impresa", Sabrina partì definitivamente per Roma a 20 anni. Cacciata di casa dopo il diploma classico all'Orazio, il Liceo di Epifani e Sabina Guzzanti: "Perché Papà aveva capito che da sola non me ne sarei mai andata".

Destinazione?
30 metri quadri in Vicolo della Palomba. Impiegata in una ditta di pulizie come segretaria. 250mila lire al mese. Due turni, dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19. Tutti i santi giorni.

Era triste?
Mi ha fatto benissimo. Lamentarsi era vietato: "Mondo infame, non ho futuro", non me l'ha sentito mai dire nessuno. Ho sempre pensato che prima di sistemarmi, avrei dovuto farmi un grosso mazzo per almeno 10 anni. Era quello che mi avevano sempre raccontato i miei e avevano ragione. Mestieri umili. Gavetta sottopagata. Sacrificio. Poi a 30, 35 anni, magari, scegli la tua strada.

A lei accadde prima.
Provai a entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia. Bocciata. Ingrid Thulin, la musa di Bergman, sosteneva che non fossi abbastanza internazionale: "È una bellezza non esportabile".

Si sbagliava.
Ma all'inizio, quando la strategia è quasi più importante del talento, fu durissima. Dopo essere stata respinta al Centro, mi iscrissi all'Accademia di Arte drammatica. Andò un po' meglio. Feci una particina nel Volpone e venni ingaggiata da una produzione tedesca. Per la Zdf, la Tv di Stato, girai 3 o 4 film introvabili. Invisibili. Darei un braccio per averli.

Titoli?
Andalusìa, Inca Connection, cose così.

Inca Connection?
Era la storia di una tratta di organi tra la Germania e l'Ecuador. Un poliziesco scatenato in cui con 3 taglie in più di seno e 6 centimetri di chiappa, mi sporgevo con la fune dagli elicotteri tra una sparatoria e un inseguimento. Guidavo gigantesche Mercedes senza avere la patente. Mi ritrovai a Quito con la troupe e la produttrice, un armadio sassone di due metri. Un donnone enorme e risoluto, Regina Ziegler.

Quito le piacque?
E chi l'ha vista mai? Giravamo a ritmi pazzeschi. Ero da sola, giovanissima, in un paese straniero, a 3.000 metri d'altitudine, con un mal di testa allucinante e un senso di asfissia e profondo straniamento. Dio solo sa quello che ho pianto. In mezzo a quel casino mi chiama la mia agente: "Il dottor Garinei ti cerca per un provino, vieni presto. O adesso o mai più".

E lei?
Per poco non me "moro". Respiro, prendo fiato e le dico: "Ma io non so cantare e non ho preparato niente". Poi vado dai tedeschi e li convinco a lasciarmi partire per qualche giorno. Atterro a Roma e vado subito in teatro. Improvviso. Canto Sandokan e incredibilmente , vengo scritturata. C'ha presente di che parliamo? Del testo che presentai a Garinei? "Sandokan, giallo il sole la forza mi dà".

Oliver Onions, i fratelli De Angelis, quelli di Zorro e dei Trinità di Bud Spencer.

Proprio quelli. Vinsi alla lotteria con coraggio, superai il provino con la follia. Alleluja brava gente, come tutte le commedie musicali di Garinei, durava 3 ore. Uno sforzo pazzesco, un'avventura. Girammo tutta l'Italia. Mi ricordo lo studio maniacale, i teatri pieni, le prove, la stanchezza, le corse. Una volta a Milano, durante lo spettacolo, Massimo Ghini quasi si strozzò.

L'esperienza con Garinei le regalò il ruolo da protagonista con Ferreri in ‘Diario di un vizio'
Un genio che non diversamente dai Taviani di ‘Cesare non deve morire', girò il suo penultimo film con lo stesso coraggio dei suoi vent'anni. Ferreri era un maestro. Spiritoso, anarchico, molto tenero, cinico, infantile anche. Si commuoveva con grande facilità. Il provino fu bizzarro.
Mi girò intorno molte volte, senza dire quasi niente. Cercava di capire chi aveva davanti. Poi mi prese: 4 giorni dopo aver presentato il film a Berlino, stette malissimo e fu colto da infarto. Andai a trovarlo nell'appartamento di Piazza della Tartaruga. Era una persona speciale, con un linguaggio indefinibile, unico.

Ebbe il coraggio di scegliere Jerry Calà come coprotagonista: "In una sola espressione contiene 10 diverse sfumature", diceva.
Ferreri era libero. Sceglieva senza condizionamenti. Che tu venissi dalla commedia, dal teatro off o dalla tv, faceva relativa differenza. Io penso che la tv sia un mezzo nobile, ma in Italia c'è una forma di razzismo. Di ipocrisia. Se ci vai, hai successo e - dio ci scampi - fai pure ridere hai per forza sacrificato la qualità. Non è vero. È il riflesso di una cultura bigotta. Di un cattocomunismo di ritorno in cui la frivolezza è un peccato mortale e flagellarsi è un dogma. Dell'invidia che come saprà è la religione nazionale.

È pieno di invidiosi?
Hanno la patente. Sò strutturati forte. Non aspirano al meglio, ma cercano di abbassarti al loro livello. Di infangarti. Di fare rumore. Più c'è confusione, meno si vede la loro mediocrità.

Cova rancori?
Ma che scherza? Per come sono fatta m'accapiglio subito. Ma io parto da un presupposto limpido: chi è a posto con se stesso, non teme un cazzo.

Proprio sulle illusioni della tv, a 29 anni, Paolo Virzì girò il suo primo film, "La bella vita".
È uno dei lavori a cui sono più affezionata. Interpretavo una piccola Bovary di provincia, una cassiera annoiata e infelice, pazza delle tv, di Marco Masini e delle soap. Ghini era Jerry Fumo, conduttore televisivo cialtrone e bugiardo che mi irretisce, in una provincia in cui apparire un quarto d'ora in video rappresenta la massima ambizione.

La candidarono al David e a Venezia i fotografi impazzirono per lei.
Si vede che quel giorno non c'erano star. (Ride). Ho avuto una strana carriera. Sono una delle poche attrici della mia generazione ad aver aperto varchi in territori alieni agendo da pioniere. Ho fatto i film d'autore e le tragedie, le commedie e l'intrattenimento televisivo, la prosa teatrale e le fiction. Così quando un copione non mi convince o ho bisogno di un'altra ispirazione, emigro di qua e di là senza tremare. Tra poco riadatteremo con Carlo Buccirosso alla regia una pochade francese, Prenòme, di straordinario successo. È chiaro che una simile varietà puoi esprimerla solo se hai anni d'esperienza.

Il lusso di sbagliare?
Non dico di sbagliare, che non conviene mai, ma il lusso di una divagazione o di un rischio, sì. La chiamo libertà.

A proposito. Non l'abbiamo mai ascoltata nella piazze postfemministe. Mai il suo nome in calce a un appello di "genere".
Ho assoluto orrore. Che le devo dire? Gli eccessi non mi sono mai piaciuti e la parità dei sessi è fondamentale. Ma augurarsi la supremazia del sesso femminile sul maschile è follia pura. Diffido dei discorsi vecchi con un'etichetta nuova. La rivoluzione del linguaggio se non è accompagnata da un reale miglioramento della vita mi suona finta. La cameriera si chiama colf e lo spazzino operatore ecologico, ma chiedo, la cameriera e lo spazzino sono meno camerieri o spazzini di ieri?

Il calendario e la notte al Circo Massimo dove li collochiamo?
Nella categoria delle cose per cui vale la pena vivere. Ci si metta lei con un milione di persone. Càpita solo al Papa, ce l'ho ancora negli occhi....

E Sanremo? In sei giorni la videro 80 milioni di persone.
Oggi la affronterei in modo diverso e soffrirei sicuramente di meno. C'era un clima difficile.

In Riviera lei chiese di rimuovere dalla sua stanza una tela, senza sapere che si trattava di un quadro di Romano Mussolini. Alessandra, la parente prossima, non la prese bene. Insulti in serie e l'intervento conseguente di mezzo Parlamento.
Abbiamo fatto pace, ma l'episodio è interessante perché rivela una passione politica che oggi sembra scomparsa. C'è stato un tempo in cui credevo che i buoni fossero tutti da un lato della strada e sull'altro sostassero solamente i cattivi. Non lo penso più e credo che le idee siano molto più urgenti delle ideologie. Sono distante da una sinistra radicale, così come dalla destra, la demagogia nella quale si muovono è inutile e sterile. Certi concetti sono obsoleti, impossibili da applicare ai nostri tempi.

Ma lei è ancora di sinistra?
La giustizia, l'onestà, la correttezza, sono il mio timone e sento che sono ancora radicati nel DNA della sinistra.

Cosa pensa della condanna in primo grado inflitta a Berlusconi.
C'è una sentenza e c'è stata una lunga inchiesta, ma no, contenta non sono. Non godo per le disgrazie altrui e a livello umano, Berlusconi ha la mia solidarietà. Non dimentico l'importante imprenditore che è stato. Siamo di fronte a un fallimento generale. Prima la destra, poi la sinistra, poi il centro, poi arrivano i tecnici, poi sbarcano i saggi, poi atterrano i marziani. Poi, poi, poi.

In realtà chiunque arrivi ha un solo mantra. Aumentare le tasse di un Paese che ormai non esiste più. Io capisco che pagare l'Ici sia importante e che dichiararsi onesti abbia un consolante suono deamicisiano. Però non vedo nessuno che rifletta su come ripartire, un piano di rilancio, una volontà di rendere questo Stato giusto ed onesto. Modello per il suo stesso cittadino e non macchina persecutrice e oppressiva come oggi.

Governo ladro?
Oggi un italiano onesto per difendersi dallo Stato deve avere e pagare una struttura "armata" fino ai denti. Commercialisti, avvocati, squadre. La verifica, la multa del '92, lo scontrino, l'Imu, la tassa per la spazzatura, il bollo, la contromarca, Gesù Bambino. Anche se paga le tasse fino all'ultimo centesimo. Soprattutto se le paga. È allucinante.

Mai pensato di andarsene?
Ci pensi. Poi, forse è l'età, non te ne vai mai. Sono molto legata alle mie radici.

Pareri sparsi su di lei. Nanni Moretti: "Bella con l'anima", Marco Giusti: "Fieramente burina". Pietrangelo Buttafuoco: "È la diva incontrastata della sinistra de core, popolare e onesta, non certo musa di quella sinistra tossica e nevrotica dei contributi statali dati un tanto al chilo".
Carine. Mi piacerebbe dì che c'hanno ragione tutti e tre, ma più ragione di tutti ce l'ha l'ultimo. Come si chiama?

Buttafuoco, Pietrangelo. Scrive per il Foglio.
Ecco, Buttafuoco ha capito tutto. Non c'è stato mai un mio solo spettacolo che abbia beneficiato di contributi statali. Li ho prodotti tutti io accendendo un mutuo.

Essere attori è complicato?
È un mestiere durissimo, pesante ma non serio, che rende nevrotici, timorosi, narcisi e inclini al protagonismo.

Amici, colleghi stimati?

Come faccio a fare un nome? Mi piace Abatantuono, Diego ha un registro potentissimo e vedo spesso Ghini, Laganà e De Sica, amici che conosco da sempre. Per il resto, non amo parlare del mio lavoro a cena. Non me ne importa nulla.

Forse per questo frequento pochi attori e preferisco le cazzate, le barzellette e una discussione oziosa alle conversazioni in cui ascolti gente dire soltanto: "Adesso parto, sto per iniziare a girare, tra due giorni ho un provino". Io mi sento male. Mi viene una forma d'ansia. Per l'esasperazione da routine sono arrivata a spingere le valige a calci per le scale. Sul set sei in piedi per 15 ore al giorno. Staccare è igienico.

Si aspettava gli applausi ricevuti per "La grande bellezza"?
Non faccio mai niente perché "mi aspetto qualcosa". Metto me stessa. Il mio temperamento. Il film è straordinario e tra vent'anni la meraviglia sarà ancora più evidente.

Non sia modesta. De Laurentiis l'ha sentito? Dicono che abbiate un rapporto fraterno e conflittuale.
Un titolo, un contratto, i soldi, il nome sul manifesto. Qualunque pretesto. Potrebbe mettere un filtro di 15 segretarie e invece chiama direttamente lui. Io vedo il nome sul display e corro a cercarmi un angolo. Certe urla. Ci diciamo parolacce che non ci sono neanche nei suoi film. Dopodiché Aurelio è sicuramente terribile, ma è il migliore. Ha un'intelligenza importante.

Pentimenti?
Non mi pento mai dei no, più spesso dei sì. Qualcosa per la tv in effetti potevo anche non farla. È un gioco di squadra. È un azzardo. Sempre.

Vizi? Uno spinello giovanile l'hanno confessato tutti.
Mai nella capoccia, ma me vede che sò? Forse una volta ci provai pure. Ero con una ragazzina francese miliardaria, figlia dell'ad della Good Year a Capena, quasi svenni. Caddi sulla ghiaia, per poco non mi investirono. La droga per me era proprio impossibile. Due mondi lontani. Mio padre per smontarla avrebbe usato la teoria del panino con il salame. E il panino con il salame era migliore di qualsiasi canna.

Rimpianti, almeno?
Io sono inconsolabile. Che è un'altra cosa. Se non sei cretino, sai che la vita non può appagarti completamente. Che la serenità è un obiettivo perseguibile, ma la felicità è impossibile. Dura un istante. Il viaggio è lungo, non arrivi mai e forse capisci qualcosa veramente solo quando muori. Ma lei conosce qualcuno sinceramente felice di morire?

 

 

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