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Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"
«Devo dire che attualmente la tensione è stemperata, non c'è più. Ma prima potrei dire di sì. Per queste vicende ci furono delle riunioni molto tese, l'armonia è stata un po' scossa...». Così parlava, nemmeno un mese fa, il procuratore di Roma Giovanni Ferrara, a proposito delle inchieste P3 e Finmeccanica coordinate da uno dei suoi vice, Giancarlo Capaldo, davanti al Consiglio superiore della magistratura.
L'organo di autogoverno ha avviato un'istruttoria preliminare per verificare l'esistenza di un'ipotetica «incompatibilità ambientale» di Capaldo; dopo Ferrara sono stati ascoltati l'altro procuratore aggiunto Caperna e il sostituto Paolo Ielo, tra qualche giorno toccherà allo stesso Capaldo.
L'obiettivo è chiudere gli accertamenti in fretta perché ieri Ferrara ha abbandonato la Procura per il nuovo incarico di sottosegretario all'Interno, lasciando le leve del comando proprio nelle mani di Capaldo, il procuratore aggiunto vicario da ieri «reggente» dell'ufficio giudiziario più importante d'Italia. In attesa del nuovo capo, che non arriverà prima del prossimo anno. Paradossalmente l'addio anticipato di Ferrara allungherà tempi e procedure, perché ora si dovranno riaprire i termini per presentare eventuali nuove candidature. Tutto lascia pensare che la posizione dei favoriti resti invariata: il magistrato con maggiori possibilità resta Giuseppe Pignatone, attuale procuratore di Reggio Calabria. Ma fino alla nomina i giochi restano aperti.
Tra i candidati c'è anche Capaldo, il quale ha sempre sostenuto di non avere nulla da rimproverarsi nei comportamenti tenuti durante le delicate inchieste che ha condotto e continua a condurre. Compreso l'ormai famoso pranzo di un anno fa, a casa di un avvocato amico, con l'allora ministro dell'economia Tremonti e il suo braccio destro Marco Milanese, di lì a poco indagato dalla Procura della capitale.
Gli accertamenti del Csm - sempre nell'ottica di valutare l'opportunità di quell'incontro conviviale - si sono estesi ad alcuni atti istruttori compiuti da Capaldo. Come gli interrogatori di Lorenzo Borgogni e Luigi Martini, coinvolti nell'indagine Enav-Finmeccanica, su un'intercettazione in cui i due parlavano di una «bastonata tra i denti», da parte della Guardia di finanza, destinata proprio al procuratore aggiunto.
Al consigliere del Csm che gli ha chiesto se Capaldo l'avesse preventivamente informato, Ferrara ha risposto secco: «No, gli avrei detto di no». Evidentemente perché giudicava sconveniente che a occuparsi della vicenda fosse un magistrato direttamente interessato, possibile «parte offesa». Ma gli accenti critici di Ferrara al «reggente» che da ieri ha preso il suo posto non si fermano qui. Capaldo è titolare della Dda, la direzione distrettuale antimafia, ma tra le sue inchieste ce ne sono alcune che sembrano avere poco a che fare con quell'ambito.
Ad esempio l'indagine sulla cosiddetta P3: «Nacque una questione perché inizialmente si trattava di corruzione, successivamente si contestò la legge Anselmi (divieto di associazioni segrete,ndr). Allora ci furono malumori». I procuratori aggiunti competenti per quei reati, ha spiegato Ferrara al Csm, «si dolsero che questo procedimento fosse rimasto nella gestione Dda».
Stessa cosa per il procedimento Enav-Finmeccanica, coordinato da Capaldo finché ha rimesso la delega spiegando che lo faceva a protezione non sua ma dell'ufficio: «Lui sosteneva l'esistenza della connessione, unica ragione per trattenerlo, ma i criteri sono indicati dalla legge, e a mio avviso non c'erano. Per questa vicenda gli animi si sono un po' accesi, io dico anche giustamente, tant'è vero che poi siamo arrivati alla cessione della delega da parte del collega Capaldo che è stata volontaria, ma fino a un certo punto».
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