DAGOREPORT - È TORNATA RAISET! TRA COLOGNO MONZESE E VIALE MAZZINI C’È UN NUOVO APPEASEMENT E…
Alessandra Mammì per "l'Espresso"
Doveva passare alla storia come il neo-espressionista che dipinge il mondo a testa in giù, e invece a 75 anni (che non sono neanche così tanti) George Baselitz, stimato pittore/scultore tedesco, è passato alla cronaca come il più incallito misogino del mondo dell'arte. Lo ha fatto con convinzione, dichiarando in una lunga intervista a "Der Spiegel" che le donne non hanno mai saputo dipingere.
E a riprova di tanta tesi ha chiamato a testimone il mercato che le accoglie con sospetto e a quotazioni più basse degli uomini. L'intervistatore per essere sicuro di aver capito bene, gli chiede: «Lei suppone che le donne non dipingano molto bene?». E lui, ancor più convinto, ribatte: «Non suppongo. à un fatto. Qualcuna nella storia pure bravina c'è stata ma nessun Picasso, nessun Gauguin, nessun Modigliani. E questo nonostante nelle accademie il numero di studentesse superi quello degli studenti».
Poi, non pago, continua dicendo che le donne son più portate per la scienza (bah!) e per le arti performative come dimostra il talento di una star famosa come Marina Abramovic che con la pittura non ha nulla a che vedere e fa in fondo un lavoro "accessorio" all'arte.
Partono feroci i commenti su Twitter. I più politici lo accusano di sessismo e misoginia. I più offesi gli ricordano che neanche lui è Picasso. I più ironici si limitano a scrivere: «Baselitz, non sapevo tu fossi una donna!». Però scatenarsi sul vecchio maestro è troppo facile. Lui in fondo ha detto quello che nel mondo dell'arte è sentire comune. Inconfessato, ma comune. Le donne artiste sono molto meno presenti dei loro colleghi maschi sul mercato, nei musei, nelle collezioni, nelle aste, nelle biennali, triennali e quadriennali.
E non da oggi. Nel 1989 sugli autobus newyorkesi apparve un poster dove si vedeva la nuda odalisca di Ingres con testa da gorilla e accanto la frase: «Le donne si devono spogliare per entrare al Metropolitan?». Seguiva spiegazione: «Meno del 5 per cento degli artisti nelle collezioni del museo sono donne, ma l'85 sono nudi femminili».
La testa da gorilla, poi, era la firma delle Guerrilla Girls, gruppo di artiste femministe parecchio arrabbiate che negli anni Novanta ponevano il problema della ineguaglianza creativa fra sessi con metodi radicali. Nonostante il loro impegno, dal 1989 a oggi le cose non sono molto cambiate. Qualche esempio.
Primo: un'indagine delle Guerrilla Girls eseguita nel 2005 sempre al Metropolitan Museum ha riportato persino un leggero peggioramento: il 3 per cento di opere di mano femminile contro l'83 di nudi. Secondo: sono 14 gli artisti invitati a rappresentare l'Italia nel padiglione nazionale della prossima 55ma Biennale di Venezia, ma solo due le donne.
Terzo: perchè la medesima Biennale fosse ufficialmente diretta da una donna abbiamo dovuto aspettare Bice Curiger nel 2011, cioè 116 anni dalla data della fondazione. Terzo: se il record d'asta per un artista contemporaneo sono i 26 milioni di euro battuti per una tela di Gerhard Richter, la più celebrata delle artiste, Louise Bourgeois, solo all'indomani della sua scomparsa ha superato i 3 milioni di euro.
«E si meraviglia? La figura ideale per il mercato è l'artista maschio, giovane, iperproduttivo, con carriera veloce per raddoppiare le quotazioni nel giro di un anno. Le artiste invece usano molto di più il tempo, avviano processi di ricerca più lenti, sono meno omogenee al sistema e forse anche meno interessate al successo di mercato. Tutto questo le penalizza. Senza parlare poi di figli-casa-marito, i soliti pesi comuni a tutto l'universo femminile che nell'arte sono quasi una colpa».
Detto questo Valeria Napoleoni, raffinata e potente signora dell'arte («Polo trainante per il mondo dell'arte londinese», secondo "Harper's Bazaar" che ha fotografato tutta la sua splendida casa), in assoluta controtendenza non solo ha costruito una collezione tutta al femminile, ma lo ha fatto con metodi femminili: riscoprendo nomi trascurati, costruendo rapporti di amicizia e sostegno con le artiste, seguendo il percorso di giovanissime. Insomma con tempo, dedizione, costanza.
Cose che danno i loro frutti, tanto che dagli anni Novanta in poi sono state le donne a offrire risposte creative e imprevedibili alla crisi ideologica delle avanguardie consolidate (concettualismi, minimalismi, insomma i soliti ismi). Ed ecco arrivare sulla scena nomi di grande spessore da Kiki Smith a Rachel Whiteread, da Rosemarie Trockel a Cindy Sherman. E poi materiali di ogni tipo: video, foto, diari, narrazioni, film, disegni. Non tutto ma di tutto si è rovesciato nelle gallerie che le hanno accolte.
Lo Studio Miscetti, ad esempio, dal 2006 propone ogni anno a Roma e poi porta in giro per i musei d'Europa, una rassegna di video e film scelti da curatrici e realizzati da artiste. Titolo, "She Devil": omaggio tanto alla super eroina della Marvel che al film del 1989 della indipendente Susan Siedelman. Storia di una casalinga sfigata e sovrappeso che risponde a un tradimento del marito vendicando se stessa e poi tutte le altre donne con invenzioni diaboliche, terribili ma molto creative.
Una metafora insomma del metodo che accompagna il lavoro di queste artiste: un mix felice di autobiografia, incubi, ossessioni, rabbia e paure mescolato a profonda passione, feroce ironia e acuto senso del grottesco.
Tutte cose utili per la sopravvivenza in «un universo creativo tra i più misogini e sessisti», conferma Francesca Kaufmann, gallerista in Milano che con la socia Chiara Repetto dal 2000 espone e tratta solo opere di donne. «Nonostante i collezionisti siano pochi, e nessuno consapevole e militante come Valeria Napoleone. Nonostante nelle gallerie di Chelsea a New York solo il 5 per cento di mostre siano a firma femminile e le rassegne sul tema "arte e donna" meno della metà di quelle sui nuovi pittori cinesi».
E allora, come negli anni Settanta, lotta dura e chiamata alle armi. La mostra in corso da Kaufmann&Repetto, che fino alla fine di marzo mette a confronto artiste di generazioni e provenienze diverse, si intitola "Revolution From Within", proprio come il titolo del best-seller di Gloria Steinem, manuale di autocoscienza e autostima, primo passo per la conquista di sé e del mondo. E di sopravvivenza, perché nel mondo dei Baselitz dura è la vita d'artista (donna, s'intende).
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