DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Dagonota
Chissà chi paga la bolletta del telefono di Matteo Renzi. Starà pure svacanzando in California con Marco Carrai (e, forse, a cercare qualche consulenza), però, sta per ore al telefono con l’Italia. Vuole controllare come procede la sua idea per un grande ritorno.
nicola morra su maria elena boschi
Messo a punto da Tommaso Nannicini e dalla fidata Maria Elena Boschi, sta preparando un documento programmatico che definirà il Pd del futuro. Tanto per essere originale, l’ha voluto battezzare “Verso un Pd 4.0”. E con immane sforzo di fantasia, si proporrà di combattere la disoccupazione giovanile, far ripartire gli investimenti, valorizzare le risorse naturali del Mezzogiorno. Insomma, una specie di Piano pluriennale che sa tanto di “programmazione centralizzata”: come ai tempi di Ugo La Malfa.
I suoi programmi, però, poggiano sulla sabbia. Il Ducetto americano sa che più tempo passa, più si sta affidando mani e piedi ad una persona di cui non si può fidare; anche perché, già in passato ha morso la mano del “padrone”. Vale a dire, Dario Franceschini.
Pur di avere il sostegno del ministro dei Beni Culturali, il Bullo ha tolto dal vocabolario il termine “elezioni anticipate”. Semplicemente non le chiede più. E questo perché, Franceschini ha fatto un patto di ferro con Mattarella, allergico ad ogni scioglimento delle Camere.
Nella sostanza, Matteo è diventato ostaggio (politico, s’intende) del tandem Franceschini-Orlando. Il ministro della Giustizia ha fatto un’opa sui Giovani turchi di Orfini che ora controlla con il joystick. Insieme i due ministri possono fortemente condizionare l’esito delle primarie; che saranno già “viziate” non tanto dai cinesi ai gazebo, quanto dai militanti i cui leader sono usciti dal partito.
andrea orlando matteo orfiniPRIMARIE PD MILANO CINESI
Renzi ha bisogno di un plebiscito, ma non è sicuro che gli riesca. E non tanto per i candidati che legittimano le primarie (Orlando è dato al 15%, Emiliano al 20%), quanto proprio per il fenomeno dell’intendenza che non ha ancora seguito (con la tessera) il nuovo partito degli scissionisti. E che si potrebbe presentare ai seggi con mirate azioni di disturbo.
In questo casino del Pd, chi rischia di fare il vaso di coccio è proprio Paolino Gentiloni. Deve la sua sopravvivenza a Palazzo Chigi alla Mummia del Quirinale. Ma negli ultimi giorni è assalito da un dilemma: se Matteo mi dovesse chiedere le dimissioni, come mi comporto? Lo faccio o seguo le indicazioni del Colle?
A Paolino dev’essere arrivato all’orecchio il convincimento di Renzi: più faccio il disoccupato, più finisco nell’oblìo. Quindi, il premier teme che al Bullo possa venire in mente qualche botta da matto. E metterlo davanti ad una scelta. Gentiloni ha anche intercettato altri umori. Come quelli che il Quirinale sarebbe contrario all’idea di larghe intese tra il Pd renziano e Berlusconi, successive alle elezioni incanalate su una riforma proporzionalistica.
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