DAGOREPORT – IN POLITICA IL VUOTO NON ESISTE E QUANDO SI APPALESA, ZAC!, VIENE SUBITO OCCUPATO. E…
Alessandro Barbera e Amedeo La Mattina per la Stampa
STRETTA DI MANO TRA ANGELINO ALFANO E PIERLUIGI BERSANI
Una volta Matteo Renzi prendeva le decisioni in autonomia, al massimo doveva discutere con il suo ministro del Tesoro. Dopo il flop del referendum costituzionale e le dimissioni, Paolo Gentiloni è costretto suo malgrado alle care e vecchie mediazioni in stile Prima Repubblica. Oggi da un lato c' è Pierluigi Bersani, dall' altra Angelino Alfano: questa settimana, prima di consegnare a Bruxelles il testo del Documento di economia e finanza, il premier dovrà incontrarli entrambi.
Una volta a condizionare il governo c' era Verdini, ora al Senato sono decisivi tanto gli scissionisti di Articolo uno quanto Alleanza popolare. I primi invocano una svolta a sinistra, i secondi lanciano avvertimenti perché non avvenga. Per ora sono d' accordo solo sui numeri: nel Documento di economia e finanza per il 2018 il deficit sarà indicato all' 1,5 per cento, tre decimali in più di quanto scritto nelle ultime tabelle spedite a Bruxelles.
Ma si tratta solo di un primo passo in attesa di uno sconto più corposo, a settembre, da parte della Commissione europea, la quale lavora ad una revisione di alcuni dei parametri del cosiddetto deficit strutturale. Se tutto andrà bene, per la prossima manovra l' Italia potrà arrivare all' 1,8 per cento, al cambio una decina di miliardi di euro.
Padoan mette in guardia dalle «scorciatoie» che vorrebbero percorrere in molti: «La prima è l'Italexit», l' altra - che Padoan ritiene comunque pericolosa - «è quella di chi pensa che all' Italia convenga andare in procedura di infrazione», andando ben oltre quell' 1,8. Ma più del quanto, il problema di Gentiloni è il come.
Le delegazione di Mdp entrerà nella stanza del premier con in mano un documento di due pagine che indica soluzioni molto precise, alcune plausibili, altre meno. Chiedono «il rinvio del taglio Ires» (già in vigore), la reintroduzione dell' Imu sulle «case di pregio», dicono un generico no «a nuove riduzioni di imposta» e di «non ritenere utili riduzioni del cuneo fiscale». In compenso ci dovrebbe essere «un aumento degli investimenti pubblici per almeno mezzo punto di Pil all' anno», più o meno otto miliardi di euro.
Ancora: Bersani e Speranza chiedono «la ripresa graduale delle assunzioni nel pubblico impiego», il blocco dei ticket sanitari e «un ripensamento» del Jobs Act, «sia sul fronte dei licenziamenti disciplinari che collettivi». Secondo quanto raccontano fonti di governo, il punto più delicato della trattativa sono le privatizzazioni: i dubbi di Bersani & c. si saldano con quelli di mezzo Pd, da Orfini a Franceschini. «Ma se quest' anno non facciamo almeno otto miliardi di incassi la regola del debito non la potremo rispettare», spiegano preoccupati dal Tesoro.
E non è un dossier rinviabile: su questo la Commissione aspetta un impegno chiaro già nelle pagine del Def che verrà presentato il 10 aprile. La risposta di Alfano non può che essere di sfida: «Gentiloni deve mantenere un equilibrio. Se impiegheremo l' anno a fare "indietro tutta" sulle riforme il governo non ci troverà disponibili». La campagna elettorale per le amministrative di giugno è già iniziata, e ciascuno deve marcare il territorio.
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