VOI AVETE UNA BANCA, NOI ABBIAMO "IL GIORNALE" - SALLUSTI AL CONTRATTACCO: “L’INTERCETTAZIONE UNIPOL-FASSINO-CONSORTE ERA UNO SCOOP. ARRIVò PER VIE TRAVERSE COME è OVVIO CHE SIA. LE STESSE CHE PORTANO I FALDONI DEI VERBALI A LA REPUBBLICA, AL CORRIERE, AL FATTO - OLTRE DUECENTOMILA INTERCETTAZIONI PER SAPER COME PASSA LE NOTTI BERLUSCONI. BASTAVA CHIERDERGLIELO. AVREBBE RISPOSTO, MAGARI ESAGERANDO, MA RISPOSTO SENZA RETICENZE"...

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1 - IL GIORNALE DEVE TACERE, VIETATO PUBBLICARE SCOOP...
Alessandro Sallusti per "il Giornale"

Non ce n'è. La libertà di informazione o è usata contro Silvio Berlusconi o è reato. Ti fanno tacere, con le buone o con le cattive. Nel giorno in cui vengono diffuse centomila (sì, proprio centomila) inutili e costose intercettazioni per dimostrare che Silvio Berlusconi ama passare alcune serate con amici e amiche, la famiglia che edita questo giornale (Berlusconi stesso, il fratello Paolo) e l'ex direttore Maurizio Belpietro finiscono nei guai giudiziari per avere pubblicato una ( sì, solo una) intercettazione che metteva alla berlina Fassino, all'epoca dei fatti segretario dei Ds.

Era il Natale del 2005 e il partitone della sinistra stava segretamente brigando per scalare una banca, cosa brutta da fare ma soprattutto da dire. Quando Consorte, capo di Unipol (la compagnia assicurativa d'area), comunica a Fassino che l'obiettivo è praticamente raggiunto, il segretario non trattiene l'entusiasmo ed esclama quel: «Dai, che abbiamo una banca», entrato nella leggenda.

A noi del Giornale la trascrizione dell'intercettazione, un vero scoop, arrivò per vie traverse e rocambolesche, come è ovvio che sia. Le stesse che portano i faldoni di verbali a La Repubblica, al Corriere, al Fatto.

Ma, cosa unica nella storia giudiziaria, solo su quella fuga di notizie la Procura di Milano aprì una caccia all'uomo, manco avessimo ucciso qualcuno, che sembrava terminata con il rinvio a giudizio dell'editore, Paolo Berlusconi. E invece no. Ieri, sei anni dopo i fatti, un magistrato superiore ha ordinato al Pm dell'inchiesta di mandare a processo anche Silvio Berlusconi e, per non farsi mancare nulla, pure il direttore dell'epoca.

Negli ultimi tre giorni, tre Procure hanno sfornato migliaia di pagine di intercettazioni del premier e di gente a lui collegata per davvero o per millantato credito. Ma in nessuna, dico nessuna di queste, c'è una sola frase di qualcuno che accusi Berlusconi di aver compiuto un reato. Non nell'inchiesta sul duo Lavitola-Tarantini, non in quella sulle ragazze ospitate dal premier, non in quella su il Giornale .

Questa enorme, costosa, gigantesca pagliacciata messa in piedi da magistrati irresponsabili sta uscendo dai confini dell'accanimento giudiziario per entrare in quelli del ridicolo. Centomila intercettazioni di ragazze a Bari, oltre centomila quelle del caso Ruby a Milano.

Totale: oltre duecentomila ascolti per sapere con chi passa le notti Berlusconi. Secondo me bastava chiederglielo. Avrebbe risposto, magari esagerando, ma risposto senza reticenze.


2 - IL GIP SI TRASFORMA IN AVVOCATO DIFENSORE DI FASSINO...
Luca Fazzo per "il Giornale"

C'è un passaggio, nell'ordinanza con la quale ordina alla Procura di incriminare Silvio Berlusconi, in cui il giudice Stefania Donadeo non si limita a ricostruire gli elementi che - a suo avviso - indicano nel Cavaliere il responsabile morale della fuga di notizie sul caso Unipol, quella che portò le telefonate tra Piero Fassino, segretario dei Ds, e il Giovanni Consorte di Unipol a venire pubblicate sul Giornale.

«Unico interessato alla pubblicazione della notizia riguardante un avversario politico era Silvio Berlusconi», scrive il giudice, spiegando perché il capo del governo deve finire sul banco degli imputati.

Ma poi la Donadeo, in un passaggio breve ma significativo, sembra prendere in qualche modo le difese di Piero Fassino, accusando il Giornale di avere pubblicato solo le frasi della telefonata tra Consorte e il leader della Quercia, che dimostravano l'interesse dei Ds nella scalata sottobanco ad Unipol; e omettendo, invece, quelle che lo avrebbero scagionato.

Scrive il giudice: «Il passaggio della conversazione del giorno 18 luglio 2005 in cui Fassino chiede a Giovanni Consorte "allora Gianni siamo padroni della banca?" sarà pubblicato in data 31 dicembre 2005. Non verrà invece mai riportato negli articoli il passaggio immediatamente successivo della conversazione predetta nella quale alla risposta di Consorte "si è chiusa", Fassino replica "SIETE padroni della banca (il maiuscolo è del giudice, ndr) io non c'entro niente».

Il giudice non spiega perché Fassino, nel giro di pochi secondi, come rendendosi conto della pericolosità della conversazione telefonica, cambi bruscamente registro, e passi dalla prima persona plurale alla seconda. Pubblicando solo una parte della trascrizione, sembra però ritenere il giudice, il Giornale ha dimostrato la finalità politica dello scoop.

Ma per una curiosa coincidenza, però, l'ordinanza della dottoressa Donadeo viene depositata ad appena pochi giorni di distanza dalla pubblicazione di altre notizie che parlano proprio della scalata di Unipol alla Banca nazionale del Lavoro, e del ruolo che vi avrebbe svolto il partito dei Democratici di sinistra, guidato allora da Piero Fassino. Sono le rivelazioni che riguardano l'inchiesta della Procura di Monza sul «sistema Sesto», ovvero sul giro di tangenti che sarebbe ruotato intorno al sindaco della città, Filippo Penati.

E che hanno creato negli inquirenti un sospetto preciso: secondo cui i Ds non si sarebbero limitati a guardare con interesse alla scalata Unipol-Bnl, come emerge dalle intercettazioni tra Fassino e Consorte, ma ne avrebbero sostenuta la realizzazione con la montagna di milioni regalata dalla Provincia di Milano al costruttore Marcellino Gavio, comprando a prezzo stratosferico le azioni in suo possesso dell'autostrada Milano-Serravalle.

La sequenza dei fatti fa una certa impressione: il 17 luglio Fassino festeggia al telefono con Consorte la conquista della Bnl, il 19 luglio l'operazione viene annunciata pubblicamente, il 29 luglio la Provincia di Milano compra le azioni della Serravalle. Il gruppo Gavio, raccontano i testi d'accusa, si sdebiterà con una tangente di due milioni fatta avere a Penati, l'uomo forte di Fassino in Lombardia.

 

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