1- GIOVEDÌ POTREBBE ESSERE IL GIORNO BUONO PER MANDARE BERLUSKAZZO IN PENSIONE 2- IL VOTO ALLA CAMERA SULLA RICHIESTA DI ARRESTO DELL’EX TREMONTINO MILANESE, SI STA TRASFORMANDO IN UN TEST DI CIÒ CHE ACCADREBBE CASOMAI UNA RICHIESTA DI MANETTE (O DI ACCOMPAGNAMENTO COATTO) VENISSE AVANZATA NEI CONFRONTI DI BERLUSCONI 3- L’ARRESTO DI MILANESE LO FAREBBE SENTIRE MENO AL SICURO. PIÙ PRECARIO. NELLA NECESSITÀ DI CONCORDARE UNA VIA DI FUGA, LA COSIDDETTA “EXIT STRATEGY” 4- AVUTA IERI LA CERTEZZA CHE LO CONDANNERANNO NEL PROCESSO MILLS, CHIEDERÀ AL PARTITO DI METTERGLI IN PIEDI UNA GRANDE MANIFESTAZIONE NAZIONALE, “PER LA LIBERTÀ”. UN MILIONE, DUE MILIONI, QUATTRO MILIONI IN PIAZZA CONTRO LA MAGISTRATURA 5- IN CAMBIO DELLA TREGUA, BOSSI VUOLE LO SCALPO DEL DIRETTORE DI “PANORAMA” MULÈ, REO DI AVER PUBBLICATO UN’INCHIESTA SULLA MOGLIE MANUELA, VERO BOSS DELLA LEGA

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Ugo Magri per "la Stampa"

Berlusconi vorrebbe fare di corsa un decreto con le misure per lo sviluppo. L'avrebbe varato già nel prossimo Consiglio dei ministri, sennonché Tremonti domani parte per gli Usa (si riunisce il G20 dei ministri economici). Dunque del decreto, e dello sviluppo, si parlerà la prossima settimana. O forse in quella successiva ancora.

Che cosa conterrà esattamente, quali provvedimenti per rilanciare la crescita, nemmeno il Cavaliere saprebbe dirlo. Al testo stanno lavorando i ministri, da Tremonti alla Gelmini (si vedranno domani), da Fitto a Sacconi. C'è il solito nodo delle risorse, e chi lavora sul testo esclude che per trovarle si ricorrerà a passi straordinari. Gli asset pubblici più appetibili non saranno messi all'asta. Di aumentare l'età pensionabile non se ne parla nemmeno. Probabile che, in mancanza di soldi, il decreto finirà per elencare un rosario di buoni propositi.

È il massimo che questo governo sa dare. Al ministero di via XX Settembre suscita perciò stupore l'attacco della Marcegaglia. «Noi facciamo quel che possiamo», dicono con un filo di risentimento al Tesoro, «ma se l'Italia non cresce com'è che gli industriali sono sempre esenti da colpe?». Berlusconi, invece, pare non si sia adontato affatto. Che Confindustria gli chieda di andarsene, lo lascia tutto sommato indifferente. Si sa, la sua attenzione è altrove, alle vicende giudiziarie.

Dopo una mattina trascorsa in Tribunale, annoiate dalle discussioni giuridiche, ha avuto ieri la certezza che lo condanneranno nel processo Mills. O perlomeno, questo è quanto ammette sconsolato il premier, «io so come andrà a finire, è una sentenza già scritta». Che il tribunale abbia cancellato una decina di testimoni, non è stata per lui una sorpresa. Sebbene non rischi il carcere (a gennaio il processo cadrà in prescrizione) sul Cavaliere è destinata a restare, indelebile, l'etichetta di corruttore. A quel punto viene da chiedersi se e come potrà tirare avanti col suo governo. Ma è una domanda che Berlusconi nemmeno si pone.

«La parola dimissioni è del tutto estranea al suo lessico», dicevano ieri nell'entourage. Come al solito, griderà al mondo che è una congiura ordita dai giudici di sinistra. Chiederà al partito di mettergli in piedi una grande manifestazione nazionale, «per la libertà» è il titolo da lui pensato. Vorrebbe farla a novembre, comunque entro Natale. Un milione, due milioni, quattro milioni in piazza contro la magistratura. Vuole che il Pdl si scuota dal torpore, proprio come ai vecchi tempi. Lo stesso Alfano, fin qui volto moderato del berlusconismo, sarà costretto a trasformarsi in ultrà.

La nota positiva per Berlusconi è che ha fatto pace con Bossi. Si sono sentiti al telefono e, secondo la versione di Palazzo Grazioli, alla fine Silvio avrebbe esclamato: «Per quanti tentativi possano fare, non riusciranno mai a dividere me e Umberto». La Lega desidera, in cambio della tregua, lo scalpo del direttore di «Panorama» Mulè, reo di aver pubblicato un'inchiesta sulla moglie di Bossi. Non si sa bene che cosa abbia promesso in proposito l'editore-premier. Però la sua voglia di compiacere il Carroccio è smisurata. Anche perché giovedì si prepara un passaggio politico ad alto rischio: il voto su Milanese.

È stato il braccio destro di Tremonti, e su di lui pende la richiesta di arresto. La Camera deve decidere per il sì o per il no. Lo farà a scrutinio segreto, e nessuno nella maggioranza scommette un euro sul risultato. Anche perché il voto sta prendendo una piega speciale: si sta trasformando in un test, nella prova generale di ciò che accadrebbe casomai una richiesta di manette (o di accompagnamento coatto) venisse avanzata nei confronti di Berlusconi. Fin qui il Cavaliere ha retto all'assalto dei pm proprio grazie alla sua maggioranza. Anzi, secondo i nemici, la maggioranza gli serve soprattutto per questo.

L'arresto di Milanese lo farebbe sentire meno al sicuro. Più precario. Nella necessità di venire a patti, di concordare una via di fuga, la cosiddetta «exit strategy». Sono in tanti, nella sua stessa maggioranza, che vorrebbero sentirgli promettere pubblicamente: «Arrivo al 2013 e poi mi ritiro a vita privata». Finora non l'ha mai annunciato. Quel momento potrebbe maturare da giovedì.

 

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