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Giovanni Tomasin per “La Stampa”
«Questo è il mio posto di lavoro e io non mi muovo di qui fino a quando non mi fanno entrare». R.P. è un operaio della Fincantieri di Monfalcone e ogni giorno arriva alle 5 del mattino davanti alle porte sbarrate del cantiere navale, assieme a un collega, per un silenzioso picchetto di protesta. È uno dei testimoni della rabbia di 5mila lavoratori a casa dopo che, martedì scorso, i carabinieri del Noe hanno sequestrato parte dello stabilimento e l’azienda ha fermato le attività produttive. La situazione potrebbe venir sbloccata oggi dal consiglio dei ministri, con un decreto d’urgenza per il dissequestro. Una misura che lavoratori, azienda e istituzioni attendono con ansia.
Il timore è che un ritardo prolungato si riverberi sulle commesse. Nel fine settimana approderà al cantiere la piattaforma di una nave da crociera lunga oltre 100 metri e del peso di 2.700 tonnellate. Il troncone dovrà essere collocato nel bacino, dove al momento staziona una nave da crociera che dovrà essere spostata prima del suo arrivo. Per questo motivo oggi circa 150 operai torneranno al lavoro. Si tratterà soltanto di attività «gestionali», precisa il gruppo, e non produttive.
Già ieri alcune decine di lavoratori sono stati riammessi al cantiere. «È una vergogna - commenta un operaio prima di entrare -. Non ci hanno avvisato quando hanno chiuso, ora ci richiamano e non sappiamo nemmeno se domani lavoreremo ancora». Il tema è stato discusso in un incontro fra azienda ed Rsu. Michele Zoff, sindacalista di Fim Cisl, spiega: «Ci hanno informato delle attività in corso ma non si sa ancora niente del dissequestro. Speriamo nel consiglio dei ministri».
Moreno Luxich di Fiom aggiunge: «Ancora non sappiamo come verranno pagati gli operai fermi. Noi chiederemo la retribuzione attraverso ammortizzatori sociali o altri strumenti».
Un lavoratore si chiede: «L’azienda sapeva dell’inchiesta sui rifiuti dal 2013. Visto che non si tratta di materiali inquinanti, perché non hanno risolto la situazione per tempo?». Nel mirino del pm, infatti, c’è la gestione degli scarti di produzione da parte di ditte appaltatrici prive dei requisiti burocratici necessari.
I sindacati e i sindaci del territorio hanno incontrato il prefetto di Gorizia Vittorio Zappalorto: «Attendiamo le decisioni del consiglio dei ministri - afferma il prefetto -, dopodiché siamo pronti a soluzioni anche casalinghe, locali. Ci sono varie opzioni». Il sindaco di Monfalcone Silvia Altran auspica «una riapertura in tempi rapidi per evitare un problema sociale». Dalle pagine del quotidiano Il Piccolo il presidente del tribunale di Gorizia, Giovanni Sansone, assicura che «non c’è nessuna ostilità da parte della magistratura» verso l’azienda.
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