DAGOREPORT - UCRAINA, LA TRATTATIVA SEGRETA TRA PUTIN E TRUMP È GIA' INIZIATA (KIEV E UE NON SONO…
Francesco Bei per “la Repubblica”
gianni letta gaetano quagliariello
Angelino Alfano scrolla le spalle di fronte all’uscita annunciata di “Gaetano”, il Richelieu del partito, l’ex ministro delle riforme che - unico nella delegazione ministeriale del Pdl - non venne riconfermato da Renzi al suo posto. “Lo sapevo da tempo - si sfoga nel pomeriggio con i collaboratori - , ha fatto la sua scelta. Ce ne faremo una ragione, amen”.
La reazione di Quagliariello è altrettanto netta: “Ho chiesto di aprire un dibattito, ma mi sembra che Alfano lo abbia già chiuso. A questo punto ci saranno conseguenze”. Un alto esponente di Ncd giura di aver raccolto dal ministro dell’Interno un’ altra confidenza, ancora più tranchant: “La verità? Va via perché Renzi non lo ha voluto nel suo governo. Anzi Renzi, quando si parlava di rimpasto, venne da me a dirmi: vi do altri due ministeri, basta che non ci sia lui”.
I QUATTRO MOSCHETTIERI QUAGLIARIELLO ALFANO NAPOLITANO CANCELLIERI
Quagliariello, chiuso per tutto il giorno al Senato con gli altri “congiurati”, non ci sta a passare per poltronista: “Questa storia che volevo un ministero l’ha messa in giro Renzi per sputtanarmi. In realtù l’ho detto più volte che, un minuto dopo le riforme, si sarebbe posto per noi il tema della permanenza al governo. Se non cambia l’Italicum l’alleanza con il Pd diventa strategica ‘per legge’. E di questo si dovrebbe discutere, non delle poltrone”.
é un fatto comunque che Area popolare sia a un passo dall’esplosione. Almeno al Senato, punto nevralgico della dissidenza. Dove sette senatori hanno già deciso di lasciare la maggioranza e passare all’opposizione. I nomi: oltre a Quagliariello sarebbero in uscita Augello, Giovanardi, Sacconi, Azzollini, Formigoni e Compagna.
I numeri sono piccoli, ma bastano a rendere i 13 verdiniani davvero determinanti per la sopravvivenza del governo. Senza i voti di Ala infatti la maggioranza sarebbe sul filo dei 161. Per ora Renzi mostra di non curarsene: “I numeri ci sono, non cambia nulla. Voglio vedere se voteranno contro una legge di Stabilità che toglie l’Imu”.
Il progetto tuttavia è di rompere dopo la legge di Stabilità, scegliendo come terreno di scontro le unioni civili. Una bandiera da alzare per dimostrare di poter essere interlocutori di quella parte di mondo cattolico più conservatrice. Non è un caso che proprio Quagliariello e Sacconi, fin dai tempi del Pdl, abbiano sempre coltivati i rapporti con tutti i prelati che ancora guardano con nostalgia all’era Ratzinger.
E che li spingono alla resistenza sul ddl Cirinnà. «Dobbiamo passare all’opposizione - è il ragionamento di Quagliariello - per poter ricostruire un’area di centrodestra». Per fare un gruppo bastano dieci senatori, ma il problema sarebbe già risolto con l’arrivo delle tre tosiane di Fare! In questi giorni, prima dell’annuncio dell’uscita, si sarebbero rinsaldati anche i rapporti con Raffaele Fitto, che al Senato può già contare su un gruppo di dieci senatori. Il progetto era in gestazione da settimane.
«Dopo la legge di stabilità - spiega Andrea Augello - si chiude la fase di emergenza. A questo punto è tempo di aprire il dibattito sulla nostra collocazione. È chiaro che il punto di partenza è uscire dal governo».
La sensazione è che il processo sia già molto oltre. E lo conferma lo stesso Augello: «L’ho detto ad Alfano: se c’è qualcuno che pensa di allearsi con il centrosinistra alle prossime elezioni può fare a meno di me. Io comunque non voto le unioni civili, lo ius soli, né la legge sull’identificazione dei poliziotti. Da giovane li identificavo benissimo anche senza il numeretto sul casco e sono sopravvissuto ugualmente».
Il paradosso è che l’uscita di Quagliariello avviene in una fase politica in cui uno dei punti di rottura con Renzi, la modifica dell’Italicum, è di nuovo tornata sul tavolo. Formalmente tutti lo negano. «Io penso che adesso - osserva ad esempio Anna Finocchiaro - non ci siano le condizioni né le ipotesi per modificare una legge approvata dal Parlamento pochi mesi fa. Credo sia doveroso concentrarsi sulla conclusione del percorso di riforma costituzionale».
Ma se «adesso» non ci sono le condizioni, non è detto che non ci siano in futuro. Matteo Renzi infatti non ha ancora deciso. Non scopre le carte per non fornire uno strumento utile a chi, nel Pd, ne approfitterebbe per dar vita a un nuovo soggetto politico di sinistra. Ma questo non vuol dire che, a ridosso del voto, la questione Italicum non venga riaperta.
«Tutto dipenderà da come andranno le amministrative- osservano al Nazareno - perché lì si capirà se l’ambizione di Renzi di andare da soli alle politiche può aver un fondamento oppure no».
Alle comunali, oltretutto, si vota con una legge elettorale simile a quella che uscirebbe da un Italicum con il ballottaggio e il premio dato alla coalizione anziché alla lista che arriva prima. Sarà su quella base dunque che il premier soppeserà l’utilità di una modifica alla legge elettorale, saggiando quanto ancora sia realistica la vocazione maggioritaria (e autosufficiente) del partito democratico.
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