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DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
1. RENZI INSISTE SULLA SUA LINEA “UN’IPOTESI INESISTENTE USATA A FINI STRUMENTALI”
Paolo Baroni per “la Stampa”
A Roma continuano a ripeterlo: «L’ipotesi non c’è, l’ipotesi Letta non è mai uscita». E poco importa se il giorno dopo il fallimento del vertice sulle nomine europee un consigliere della Merkel rilancia la questione: Palazzo Chigi continuano a fare muro. Perché ormai è chiaro che a Renzi l’idea di far guidare il Consiglio europeo al suo predecessore, maturata nelle scorse settimane sull’asse Londra-Berlino, non va per nulla a genio.
Ufficialmente il governo italiano però non si sbilancia. Ma nemmeno si spende. «Se c’è un nome italiano noi siamo aperti a qualsiasi posizione. Ma se quel nome non c’è...» ha scandito Matteo Renzi martedì notte al termine del vertice cercando di respingere l’immagine dello sconfitto di turno. «Ho letto di Letta, stamattina di Monti, noi siamo aperti, ma se quel nome non c’è...».
Peccato, ha ammesso ieri lo stesso Elmar Brok, che il nome dell’ex premier italiano fosse diventato così «pubblico» che non c’era nemmeno più il bisogno di farlo. Un segreto di Pulcinella, insomma. O se vogliamo, vista da palazzo Chigi, «solo una strumentalizzazione», un modo per intorbidire le acque nella fase clou della battaglia per le nomine europee.
Letta, che ieri era alla Camera per partecipare ad alcune votazioni, non solo non ha commentato ma ha chiesto ai parlamentari che gli sono più vicini di non parlare per suo conto. Qualcosa però scappa. E un deputato azzarda: «Negare in pubblico che il nome di Letta sia stato fatto, equivale da parte di Renzi a mettere implicitamente un veto».
Per farcela ora Roma deve tenere duro per quaranta giorni e sperare di arrivare con la Mogherini «indenne» al nuovo summit del 30 di agosto. Ce la farà la candidata italiana? Il capogruppo del Pse Gianni Pittella, che si incarica di dare una risposta un po’ a muso duro a Brok sia per conto del Pse sia per conto dell’Italia, è convinto che dopo l’inasprimento delle sanzioni contro la Russia i baltici dovrebbero placarsi e rimuovere i loro veti. Mercoledì «abbiamo pareggiato fuori casa - scherzava invece ieri il premier con i suoi -. L’Italia è in campo per l’incarico di Alto rappresentante per la politica estera».
La partita, però, è tutt’altro che chiusa. Anzi. Antonio Tajani, primo vicepresidente del Parlamento europeo e vicepresidente del Ppe, ieri è tornato a spiegare che «Letta è un personaggio molto gradito in Europa» e che Renzi ha commesso il «grave errore» di «chiedere il posto di Alto rappresentante» senza avere un nome di peso da spendere. Meglio sarebbe stato chiedere altri portafogli. «Non voglio disturbare il manovratore, ma forse è mal consigliato».
Quello che tra Roma e Bruxelles molti non capiscono è proprio questo: perché Renzi non voglia cogliere al volo l’occasione per conquistare una casella ancora più prestigiosa di quella di Lady Pesc e poi, visto che l’incarico di presidente del Consiglio non rientra nel «Cencelli» dei commissari, assicurarsi comunque anche un portafoglio importante.
«Perché decide solo in base agli interessi individuali», è la risposta che viene data dai più maligni: la Mogherini deve andare in Europa per poter fare in Italia il rimpasto, nessuna parola su Letta per evitare poi di ritrovarselo tra i piedi in Europa. A tutti Renzi risponde in maniera secca: «L’obiettivo dell’Italia non è avere una poltrona». Punto. Quanto all’Europa, spiegava invece ieri il premier, «l’Unione deve dotarsi presto di una squadra competitiva in cui siano presenti freschezza ed esperienza».
L’irritazione, insomma, resta forte. Tanto più dopo il summit finito nel nulla ed il faccia a faccia non certo sereno con Van Rompuy, che guarda caso è anche un altro degli “sponsor” di Letta. «Il vertice non è stato preparato bene - è quasi sbottato Renzi l’altra sera -. La prossima volta basta un sms, almeno risparmiamo i costi dei voli di Stato». Acidità allo stato puro, che rende bene l’idea della situazione.
3. MOGHERINI, IL PREMIER NON CEDE
Laura Cesaretti per “Il Giornale”
A mollare e cambiare cavallo non ci pensa per niente, Matteo Renzi. «Molti in Europa ancora non conoscono il mio metodo di lavoro e non ci sono abituati. Ma io non cambio», spiega a chi gli chiede se lo stop incassato a Bruxelles lo abbia fatto venire a più miti consigli. O se lo abbia convinto a cercarsi un «piano B»: «Ma quale piano B, il nostro candidato è e resta il ministro degli Esteri italiano».
Dunque in questo mese, di qui al prossimo vertice Ue, si continuerà a lavorare per spedire Federica Mogherini al posto di Lady Ashton, nella convinzione che quelli che contano (il Pse, Hollande in testa, e la Cancelliera Merkel, con la quale l'interlocuzione è praticamente quotidiana) il loro appoggio all'Italia di Renzi non potranno negarlo.
D'altronde la strategia dell'unico colpo, per la quale il premier è andato a Bruxelles con un solo nome, non lascia altre vie: se cambiasse candidato, Renzi ne uscirebbe come lo sconfitto. Per cui non arretrerà.
A sentire i suoi, il presidente del Consiglio sarebbe anche assai seccato per le «manovre sottobanco» che altri attori italiani (e del Pd) avrebbero messo in atto alle sue spalle. Qualcuno, tra i renziani, confida a mezza bocca il sospetto che dietro molte posizioni sia politiche (alcuni paesi dell'Est) che di stampa (anglosassone) ostili alla Mogherini ci sia lo zampino degli «amici di Enrico Letta».
Così come c'è chi fa notare come l'ambasciatore Nelli Feroci, che ha sostituito Tajani nella Commissione uscente, sia «molto vicino a Massimo D'Alema». Il quale peraltro si è comprensibilmente seccato di essere stato usato «come uomo nero, anzi rosso», come ha scritto in un sms a Renzi riportato da Repubblica, «per far passare la tua amica Mogherini», tanto più dopo che il premier (prima delle elezioni e del fatidico 40%) qualche speranza di andare lui a Bruxelles gliela aveva data.
Di certo, una volta promossa in Ue, la Mogherini andrà sostituita e il successore è già lì che freme: «Non ci sarà nessun rimpasto», assicura Angelino Alfano, «solo una sostituzione fisiologica». Sarà lui a riempire la casella, probabilmente: «Al Viminale, dove va raramente, Alfano ha grossi problemi, mentre alla Farnesina non ne creerebbe. Tanto, la politica estera la fa Matteo», spiega un renziano. Mentre al Viminale potrebbe andare Graziano Delrio, lasciando Luca Lotti a Palazzo Chigi. Anche se una parte del Pd sponsorizza per l'Interno Marco Minniti, attuale responsabile dei Servizi segreti. Nell'ipotesi «soft», il rimpasto d'autunno potrebbe fermarsi qui.
Ma nel Pd ci sono scuole di pensiero diverse, e c'è chi prevede una «messa a punto» complessiva della squadra: in bilico il ministro della Pubblica Istruzione Stefania Giannini, di Scelta civica (al suo posto potrebbe entrare Andrea Romano) e quello degli Affari Regionali Carmela Lanzetta, possibile candidata alle Regionali in Calabria. Ma la seconda scuola, in aumento, esclude il rimpasto e vede piuttosto elezioni anticipate. «Con una situazione economica difficilissima e un Parlamento bloccato dall'ostruzionismo anti-riforme», ragiona un dirigente Pd, «Renzi potrebbe decidere di fare l'Italicum e andare subito all'incasso nelle urne. Magari non farà il 40%, ma col 37% e un Parlamento più motivato può essere ancora più forte».
3. PRODI AFFONDA IL COLPO: «SEMESTRE ITALIANO DIMEZZATO»
Da “Il Giornale”
«Il rinvio alla fine di agosto delle nomine europee è estremamente pesante. Soprattutto per il semestre italiano che avrà istituzioni complete solo nell'ultima parte». L'ex premier Romano Prodi ha messo a nudo così la sconfitta di Matteo Renzi, che nel vertice Ue non è riuscito a imporre Federica Mogherini come rappresentante della politica estera dell'Unione.
Il presidente dell'Europarlamento, il socialista Martin Schulz, ha ribadito che il cavallo sul quale si punta è appunto la titolare della Farnesina. Ma il problema è nel manico: troppo forte l'opposizione della Germania per un premier con poca autorevolezza internazionale.
Anche il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, in un colloquio telefonico con il presidente del Ppe, Joseph Daul, ha constatato la difficile situazione, lamentandosi di non poter presenziare alle riunioni del gruppo per via dell'ingiusto divieto di espatrio. Il vicepresidente del Ppe, Antonio Tajani, ha evidenziato come l'ex inquilino di Palazzo Chigi, Enrico Letta, sia «molto gradito in Europa» (circostanza confermata anche dall'eurodeputato e consigliere di Angela Merkel, Elmar Brok). «Renzi è mal consigliato - ha aggiunto Tajani - perché avrebbe dovuto scegliere qualcuno di maggior peso o ambire a un altro incarico».
MASSIMO D ALEMA INTERVISTATO DA ALAN FRIEDMAN
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