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Paolo Mastrolilli per "La Stampa"
Adesso è ufficiale: gli Stati Uniti sono diventati il primo produttore mondiale di petrolio e gas. Per avere i numeri definitivi bisognerà aspettare la fine dell'anno, ma tutte le proiezioni fatte sulla base dell'andamento del settore nel corso del 2013 danno la stessa risposta: Washington ha superato Mosca, proprio mentre le tensioni politiche fra i due ex rivali della Guerra Fredda raggiungevano i livelli più alti degli ultimi vent'anni.
Una rivoluzione economica, ma anche geopolitica, che promette di cambiare i rapporti di forza non solo tra Usa e Russia, ma anche nel Medio Oriente e nelle altre regioni dove si estraggono queste fonti di energia. I numeri sono abbastanza chiari. Nel corso del 2013, gli Stati Uniti hanno prodotto in media 22 milioni di barili al giorno di petrolio e gas, contro i 21,8 milioni della Russia.
Se si considera solo «l'oro nero», l'Arabia Saudita ha ancora il primato mondiale, con 11,7 milioni di barili estratti quotidianamente. Subito dietro, però, le distanze tra Mosca e Washington si sono ridotte, con 10,8 milioni di barili contro 10,3. Canada, Venezuela e Nigeria seguono, ma con quantità pari a meno della metà dei primi tre. Fino a tre anni fa, fra Usa e Russia c'era una differenza di oltre tre milioni di barili di petrolio al giorno al giorno, che ora si è ridotta a meno di 900.000.
Il motivo sta nel fatto che i pozzi di Bakken, nel North Dakota, e quelli di Eagle Ford, nel sud del Texas, stanno aumentando molto velocemente la loro produzione, mentre quelli di Mosca stanno rallentando. L'Istituto per la ricerca energetica dell'Accademia russa delle scienze prevede che dopo il 2015 le esportazioni nazionali di greggio diminuiranno fra il 25 e il 30%, e questo avrà un serio impatto negativo sul bilancio del Cremlino, che per il 40% si regge sui ricavi dell'industria estrattiva.
Negli ultimi cinque anni, invece, gli Stati Uniti hanno ridotto le loro importazioni di gas e petrolio, rispettivamente del 32% e 15%, puntando di più sulle nuove riserve interne. Questo ha un effetto positivo sui conti, e nello stesso tempo riduce la dipendenza dai rifornimenti che arrivano da paesi instabili.
Washington, inoltre, sta acquistando una capacità sempre più forte di condizionare il prezzo delle fonti di energia, e ciò ha un impatto politico, oltre che economico. Molti paesi produttori, infatti, contano sulla possibilità di manovrare i prezzi per riempire le proprie casse. Se questa opzione scompare, o diminuisce, si riduce tanto la loro potenza economica, quanto quella geopolitica.
Il boom americano viene attribuito principalmente alle nuove tecnologie per estrarre lo «shale gas» e lo «shale oil», cioé le fonti che si trovano a grandi profondità sotto la superfice rocciosa. Questa tecnica, chiamata «fracking», ha consentito di raggiungere grandi riserve a costi relativamente bassi. Ciò ha permesso di aumentare la produzione e diminuire i prezzi, soprattutto del gas. Gli analisti ora si chiedono quanto durerà questa situazione, perché i nuovi bacini non sono illimitati e l'opposizione degli ambientalisti al «fracking» potrebbe limitare il suo uso. Nel futuro immediato, però, il primato americano è destinato a consolidarsi.
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