DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Giorgio Gandola per La Verità
MATTEO RENZI BIANCA BERLINGUER
Perdere con il 45% di gradimento è fastidioso. Perdere contro Pierluigi Bersani è preoccupante. Perdere contro Maurizio Landini e la sua felpa rivoluzionaria è devastante. Perdere anche contro Elsa Fornero è da depressione. Perdere facendosi querelare da Matteo Salvini è una Waterloo. Il risultato del ritorno in tv di Matteo Renzi somiglia a quello della nazionale di calcio con la Spagna. Ma i numeri e lo share questo dicono. E l' ora abbondante che la servizievole Bianca Berlinguer dedica a conversare amabilmente (intervistare è un' altra cosa) con l' ex presidente del Consiglio nel salotto di Rai 3 non basta a far risalire l' ospite a cavallo.
Mancano solo gli spritz con i salatini a #Carta Bianca e i telespettatori se ne accorgono, tanto è vero che preferiscono Dimartedì su La7 (4,8% contro 4,6% di share) dove Giovanni Floris schiera con una certa perfidia due nemici dell' ex premier, che finiscono per sopravanzarlo nell' audience: Bersani di poco (4,9% contro 4,7%), Landini e il talk sui vitalizi di tre piste (5,5% contro 4,2%). Perfino la comparsa della Fornero, dopo lo shock iniziale del ceto medio vessato in pantofole, alla lunga viene metabolizzata meglio degli slogan elettrici di Renzi a caccia di consensi nella riserva protetta della sinistra televisiva.
Mancano gli spritz, manca il contraddittorio, mancano sostanziali novità. E alla fine dello show in solitaria (nella foga narrativa Renzi prova anche a spostare il timing delle pubblicità come faceva Silvio Berlusconi), il segretario del Pd non riesce a ottenere neppure il gradimento della maggioranza dei telespettatori: 45% dalla sua parte, 55% dalla parte opposta.
TRUCCHETTO
Nei contenuti Renzi recita sé stesso con la consuetudine e gli automatismi di Ferruccio Soleri in Arlecchino servitore di due padroni. E quindi spazio ai miracoli del suo governo, ai 100.000 insegnanti stabilizzati, all' autonomia (poco credibile) di Paolo Gentiloni, agli appelli contro la litigiosità del Pd («Corriamo il rischio di fare la fine della Ferrari a Singapore») e alla stroncatura sistematica dell' avversario con la protervia che gli è nota.
«Domenica scorsa è uscita una foto evidente: da un lato Silvio Berlusconi che per l' ennesima volta è tornato in campo, dall' altro Matteo Salvini e dall' altro ancora il M5s che con una procedura trasparente ha scelto il suo leader. Da un lato il centrodestra a trazione leghista e dall' altro Beppe Grillo. Quando sento dire che Salvini si sente a casa sua in Corea del Nord mi preoccupo per i miei figli. Aiutiamolo a casa sua allora». Non ha riguardo neppure per Berlusconi che con il patto del Nazareno lo ha tenuto in piedi una decina di volte.
«Chi dice che Berlusconi è tornato in campo dovrebbe guardare i numeri: nel 2013 Forza Italia era al 25%, poi alle Europee al 16%, oggi i sondaggi la danno al 12%. Io penso che ci sia un elemento di straordinaria vitalità dell' uomo ma credo che si stia parlando molto tra addetti ai lavori. Nei sondaggi il suo partito è la metà del Pd». Sulla Lega gli slitta la frizione e per otto volte ripete, con lady Berlinguer silenziosamente imbarazzata, che «è stata condannata per truffa perché i suoi capi hanno rubato 48 milioni agli italiani».
Quasi a rispondere a una domanda (mai fatta) di garantismo a comando, l' ex premier incalza Salvini: «Devo essere garantista io? smetta di rubare lui». E per la campagna elettorale nessuna preoccupazione «perché di solito gliela paga Berlusconi». La risposta arriva via Facebook, dove l' altro Matteo annuncia querela con toni non propriamente da palco d' opera: «Il fallito si sciacqui la lingua, non ho mai rubato, sulla mia onestà nessuno può scherzare. Querela per il bugiardo».
SERATACCIA
Insomma, una serataccia che neppure lo scandalo Consip può risollevare. In questo caso la conduttrice, rimembrando qualche aneddoto famigliare sui metodi del Comintern ai tempi d' oro, piazza lì una domanda che somiglia più a un assist a porta vuota: «Cosa pensa delle prove falsificate?». Niente sugli appalti, sui pizzini, sul ministro Luca Lotti indagato, su quel papà al quale non sembrava credere neppure il figlio. E poi niente sulle banche, sul Giglio magico, sullo spoil system feroce che ancora continua. Duro giornalismo di frontiera, non c' è che dire.
Mentre la gente a casa è già nel primo sonno, Renzi scorrazza libero nella prateria di Rai 3. Ne ha anche per Grillo e per la vena da gaffeur dei suoi colonnelli. «Come si fa a fidarsi di uno che dice che Napoleone Bonaparte ha combattuto ad Auschwitz?» (perla di Alessandro Di Battista). Nessuno che lo inviti a non impancarsi a professore perché la frase «al Cern di Ginevra c' è l' Europa che ci piace e che funziona», inserendo la Svizzera nella Ue, l' ha pronunciata lui.
Perché «Devid di Maichelangelo» all' inglese davanti a un Benjamin Netanyahu esterrefatto l' ha detto lui nella sua Firenze. Perché la lettera agli elettori all' estero con l' indirizzo «Gerusalemme, Palestina» è uscita dai suoi uffici. Perché attribuire a Jorge Luis Borges la poesia di un anonimo non è uno sfoggio di sapere. Fedele al titolo del programma, la Berlinguer dà carta bianca all' ospite e lascia fare sino alla fine. Ha solo un sussulto: «Ma non aveva detto che si sarebbe ritirato a vita privata?». Renzi non le lascia scampo: «Lo volevo anche fare, poi ho cambiato idea. Vi è andata male». Più che un sorriso gli sfugge un ghigno.
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