
DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA…
Filippo Facci per “Libero Quotidiano”
Potete raccontarvi che andiamo a fare una missione di pace, anzi, un intervento umanitario, anzi, un' operazione di polizia internazionale, o potete dire - come il ministro della Difesa Pinotti, ieri - che andiamo semplicemente a «curare i valorosi combattenti contro l' Isis» e magari aggiungere che «la lotta al terrorismo non si gioca soltanto con lo strumento militare».
Insomma, potete metterla come volete, resta che il nostro Paese manderà dei soldati in Libia e che potremmo averne di ritorno delle bare. Duecento paracadutisti della Folgore non andranno certo a caccia di dromedari, altri cento operatori sanitari non andranno certo a curare i feriti dello Stato islamico.
Poi certo, da noi la vera guerra si gioca sempre sulle parole: il Parlamento oggi esibirà l' antico paraculismo italico e spiegherà che no, guai, che dite, ma quale guerra, andiamo solo ad aprire un ospedale su richiesta del governo libico, lo costruiremo vicino all' aeroporto di Misurata, e cioè non troppo lontano dal fronte - un caso - e cioè dove si concentrano - altro caso - le forze americane e inglesi e italiane, quelle speciali: non quelle regolari che stiamo cominciando a inviare ora. Il che, qualora non fosse chiaro, potrebbe rappresentare il primo caso di dispiegamento aperto di truppe regolari da parte di un Paese occidentale.
E tutto questo, anzitutto, basta saperlo, basta dirlo: anche se il nostro è un governo di sinistra, e la specialità dei governi di sinistra - a cominciare dal governo D' Alema, ricorderete - non è ripudiare la guerra, come dice la Costituzione: ma rifuggirla a parole.
Matteo Renzi ha chiesto di ottenere il via libera parlamentare: quindi fine dei segreti, la presenza di forze speciali italiane in Libia non sarà più un interrogativo cui solo qualche giornale, nei mesi scorsi, ha cercato di dare risposta.
Per ottenerne che cosa? Altre guerricciole di parole: dagli ambienti governativi, ogni volta, si faceva sapere che l' Italia non era in guerra e che stava solo addestrando le forze libiche. La ministra della Difesa, durante un question time alla Camera, aveva ammesso solo il trasporto di alcuni feriti libici nell' ospedale militare del Celio, a Roma: mica era guerra. Il governo confermava la messa a disposizione delle basi italiane agli aerei statunitensi, si parlava anche della possibile concessione della base di Sigonella: mica era guerra.
Quella che Nicolas Sarkozy nel 2011 dichiarò alla Libia, però, era guerra di sicuro. Il petrolio che il colonnello Gheddafi vendeva vantaggiosamente all' Eni e il buon rapporto del dittatore con l' Italia (con Silvio Berlusconi in particolare) non piaceva ai francesi e tantomeno alla sinistra italiana: la guerra cominciò così, è iniziato tutto così, con Sarkozy che fece bombardare la Libia facendo accodare la comunità internazionale: compreso, in particolare, l' allora capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Da allora, Sarkozy è sparito. Napolitano pure. Con loro si è dissolta ogni retorica sulle cosiddette primavere arabe. La Libia è diventata una macelleria islamica affacciata sul nostro mare, e brucia. Altri l' hanno incendiata, ma i nostri pompieri stanno per partire.
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