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Paolo Valentino per il "Corriere della Sera"
Forse la chiave di tutto è in un filmato, ora introvabile ma ben conosciuto negli ambienti politici e affaristici di Mosca. Siamo all'alba del nuovo secolo, l'inizio del potere di Vladimir Putin. Il nuovo Zar incontra al Cremlino gli oligarchi, i nuovi boiardi che lo hanno scelto per sostituire Boris Eltsin e che si illudono di poterlo condizionare come hanno fatto con Corvo Bianco.
Ci sono tutti i «robber baron», i baroni ladroni che si sono letteralmente messi in tasca l'Unione Sovietica a prezzi stracciati o per arbitraria concessione del principe: Gusinskij, Berezovsky, Potanin. E c'è soprattutto Mikhail Khodorkovskij, il più brillante, il più sicuro di sé, il più articolato del gruppo. à lui che parla guardando dritto in faccia il neopresidente. Si lamenta della corruzione dilagante nel pubblico impiego, che diventa un freno all'imprenditoria. Il video mostra un Vladimir Putin visibilmente irritato, ma non intimorito, che sibila una risposta: «Non cominciamo a parlare di come voi avete fatto i soldi».
Tutto comincia in quell'increspatura, che poco a poco diventerà aperta sfida. Da un lato, il più ambizioso e determinato dei nuovi tycoon, convinto che dopo l'era dell'accumulazione fraudolenta si debba aprire la strada a un capitalismo legittimo, fatto di regole, trasparenza, apertura ai capitali esteri.
Dall'altro Vladimir Vladimirovich, forgiatosi nel ferro del Kgb, per nulla disposto a condividere il potere, tantomeno a farsi dettare la linea da quei Paperoni a sbafo, che nell'impennata di Khodorkovskij vede il tradimento dello scambio scellerato, inaugurato da Eltsin e da lui considerato dogma: voi vi arricchite, ma state lontani dalla politica.
Sappiamo come andò la storia: Khodorkovskij che non arretra; Khodorkovskij che sceglie di rimanere in Russia, mentre gli oligarchi caduti in disgrazia, da Berezovsky a Gusinskij, fuggono ignominiosamente insieme ai loro denari verso porti sicuri; Khodorkosvskij che alza il tiro: si propone come primo ministro, ha a libro paga molti deputati della Duma, viaggia spesso in America, dove si sussurra che potrebbe aprire la sua Yukos anche a capitali americani. Fino al sospetto più forte: Khodorkovskij che vuole creare un partito e sfidare Putin alle elezioni presidenziali, chiaramente sottovalutandone la capacità di reazione e l'istinto di sopravvivenza.
Nell'ottobre del 2003 scatta la trappola del Cremlino: arrestato per evasione fiscale, frode e malversazione. Lo spogliano di tutto. La Yukos, gigante petrolifero mondiale viene incamerata dallo Stato. E secondo fonti dell'intelligence tedesca, è in quell'operazione che anche Vladimir Putin si mette in proprio. Ci vogliono più di dieci anni, perché non la giustizia, ma il capriccio dello Zar gli faccia intravedere la fine del tunnel.
Ma due lustri in una galera russa, che avrebbero spezzato chiunque, per Mikhail Khodorkovskij si fanno catarsi. Non cede, non crolla, non dà di matto, con atteggiamento quasi zen; diventa prigioniero di coscienza, vittima eccellente di un sistema autoritario e repressivo; finanzia l'opposizione, tutta, anche quella comunista; scrive appelli ispirati e dotti articoli sui diritti umani. In una parola, acquista «moral stand», statura morale.
Almeno in Occidente. La lunga memoria russa è un'altra cosa. Memore di quegli anni Novanta in cui la demokratia era stata ribattezzata dermokratia, la merdocrazia, il popolo russo non ama gli oligarchi. E Mikhail Khodorkovskij oligarca lo è stato all'ennesima potenza. Chi lo ricorda nel Far West post-sovietico, racconta di una personalità aggressiva e senza scrupoli: il giovane fondatore di Menatep, una delle prime banche private dell'era post-sovietica, non aveva problemi a minacciare ogni potenziale nuovo concorrente, specie se si trattava di banche occidentali.
E poi ci sono i sospetti mai confermati. Perfino a Putin una volta scappò di dire che Khodorkovskij aveva «sangue sulle sue mani». Ma Putin nella fattispecie non è uomo d'onore. Di certo c'è solo che il capo dei bodyguard di Khodorkovskij, Alexeij Pichugin è in carcere, condannato per aver organizzato nel 1998 l'omicidio di Vladimir Petukhov, sindaco di Nefteygansk, Siberia occidentale, allora nel cuore dei campi di petrolio della Yukos. Pichugin, che si è sempre dichiarato innocente, avrebbe sulla coscienza anche l'omicidio di una coppia di imprenditori e due attentati falliti a un ex rivale in affari della Yukos. Sapeva qualcosa il grande capo?
Ed è questa, l'etichetta dell'oligarca, una delle ragioni per cui ci sentiamo di dire che difficilmente, una volta liberato, Mikhail Khodorkovskij entrerà direttamente in politica. Forte dell'immensa ingiustizia subita, sarà persona pubblica, sosterrà le opposizioni, darà interviste e consigli, ma non si candiderà . Rimarrà in Russia, ecco l'altra certezza. Non fuggì quando sapeva che il mondo stava per crollargli addosso. Non andrà via adesso, che Putin in apparenza sembra non temerlo più. E la sua presenza ricorderà allo Zar di qualcuno che lui non è riuscito a sconfiggere.
vladimir putin e xi jinping VLADIMIR PUTIN SI IMMERGE NEL LAGO BAIKAL VLADIMIR PUTIN PUTIN E KHODORKOVSKIKhodorkovskijkhodorkovsky in prigione
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