DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
Bernardo Valli per “la Repubblica”
Il canale di Suez ha un doppio valore: mitico e tecnico. Il maresciallo Abdel Fattah al-Sisi, nuovo raìs d’Egitto, con la grande cerimonia d’oggi rispolvera l’uno e l’altro. Non si celebra solo il compimento di un’opera che può dare lavoro a decine di migliaia di uomini e donne, forse a milioni: c’è anche il tentativo di ridare al paese squassato dalle crisi un po’ dello smalto perduto e della credibilità sperperata dal regime militare con le repressioni.
Sul piano tecnico non si tratta del raddoppio del Canale inaugurato centoquarantasei anni fa, ma di un imponente miglioramento. Ci avevano già pensato sia Hosni Mubarak, il vecchio raìs spodestato dalla “primavera araba” poi fallita, sia il presidente Mohammed Morsi, eletto al suffragio universale diretto e adesso in galera. Ma nessuno dei due era mai passato alla realizzazione. Appena arrivato al potere grazie alla forza dell’esercito e all’impopolarità dei Fratelli musulmani subito decimati, il maresciallo Al Sisi ha rispolverato il progetto e soprattutto l’ha concretizzato con tenacia ed efficienza.
Ultimati a fine luglio, i lavori consentiranno di raddoppiare la circolazione delle navi su 72 dei 193 chilometri della sua lunghezza (tra il Mediterraneo e il Mar Rosso), grazie all’allargamento di 37 chilometri del canale originale e lo scavo di una nuova via di 35 chilometri. Questi lavori dovrebbero ridurre da diciotto a undici ore il tempo di passaggio in un senso e da otto a tre ore nell’altro senso.
Anche la frequenza del traffico è destinata a migliorare. Entro il 2023 passeranno in un giorno novantatré navi invece delle quarantanove attuali. Lungo il percorso saranno realizzati tunnel stradali e ferroviari, centri commerciali e nuovi porti. Stando alle dichiarazioni ufficiali le opere sono costate quasi 14 miliardi di euro, le metà dei quali, 7 miliardi, sarebbero stati raccolti in dieci giorni grazie all’acquisto di buoni di partecipazione da parte della popolazione egiziana.
Sempre secondo le proiezioni ufficiali gli introiti del canale dovrebbero passare dagli attuali 4,8 miliardi di euro a 12 entro il 2023. La prospettiva di consistenti guadagni ha senz’altro spinto molti cairoti o alessandrini ad acquistare i buoni offerti dallo Stato, ma lo spazio mitico che occupa il Canale di Suez nella storia dell’Egitto moderno ha probabilmente contribuito allo slancio popolare.
Quando ha cacciato Mohammed Morsi dalla presidenza, giudicandolo inefficiente e inattendibile, il generale Al Sisi, poi promosso maresciallo e eletto presidente, ha assecondato la propaganda che lo presentava come un “nuovo Nasser”.
Ha associato il proprio nome a quello del raìs che, insieme al generale Naguib, cacciò re Faruk dal trono nel 1952 e proclamò la Repubblica, ma che, soprattutto, quattro anni dopo, liberatosi di Naguib e diventato lui stesso presidente, nel luglio 1956 nazionalizzò il Canale di Suez. La decisione equivalse a una proclamazione di indipendenza. Suscitò identiche emozioni. Il Canale era controllato militarmente e finanziariamente dalle vecchie potenze coloniali. Nasser sfidò Francia e Gran Bretagna.
A Parigi governava Guy Mollet, socialista e professore di inglese. A Londra Anthony Eden, un conservatore malandato di salute. La Francia di Mollet aveva un rapporto particolare con Israele, allora governato dai laburisti e ritenuto da non pochi (per i kibbutz) un paese socialista assai più affidabile dell’Urss. Mollet considerava Nasser, nemico del neo Stato ebraico, un personaggio simile a Hitler.
Per Eden la nazionalizzazione del Canale di Suez era un’ulteriore terribile ferita all’Impero britannico morente. Per la Francia, che aveva appena perduto l’Indocina, e cercava di conservare l’Algeria, in Egitto si trovavano i dirigenti del Fronte di Liberazione nazionale in azione nel paese del Maghreb considerato un dipartimento francese. Gente dunque da neutralizzare.
Così partì l’ultima classica operazione coloniale della Storia. Un’impresa franco-inglese, alla quale si aggregarono le truppe israeliane del generale Moshe Dayan. Militarmente fu un successo, ma politicamente un disastro. Perché gli Stati Uniti ordinarono a Londra, a Parigi e a Tel Aviv di ritirare le loro truppe dal Canale e furono ubbiditi.
Non solo per l’Egitto, ma per il Terzo Mondo, che stava emancipandosi dalla colonizzazione, fu una vittoria. Una vittoria elargita dagli Stati Uniti, che non erano fuori dalla Storia come la Francia di Guy Mollet e la Gran Bretagna di Anthony Eden. Fu anche una vittoria “tecnica” perché gli egiziani, nonostante le previsioni, assunto il controllo del Canale riuscirono a farlo funzionare.
Il maresciallo Al Sisi condivide con Nasser un altro non tanto dissennato principio: le opere faraoniche non danno soltanto gloria, ma cancellano le ombre. La diga di Assuan, che fu la più grande realizzazione di Gamal Abdel Nasser dette acqua alle terre della valle del Nilo ed energia alle fabbriche, e al tempo stesso fece trascurare i numerosi abusi del regime.
Il progetto del Canale fu animato in particolare dal diplomatico Ferdinand de Lesseps. L’inaugurazione avvenne, sotto il controllo dei francesi, il 17 novembre 1869, alla presenza del khedivè (viceré) Ismail, pascià d’Egitto e del Sudan, ospite d’onore Eugenia, moglie di Napoleone III. Il pascià aveva ordinato per l’occasione un’opera a Giuseppe Verdi, ma l’Aida fu rappresentata al Cairo la vigilia di Natale del 1871 quando Napoleone III aveva già perduto l’impero a Sedan.
Nei dieci anni in cui fu scavato il Canale, che ha accorciato di circa settemila chilometri la distanza tra l’Europa e l’India, non dovendo le navi passare per il Capo di Buona Speranza, l’intenso traffico di mercanti e tecnici ha contribuito a rianimare la città di Alessandria.
La quale è diventata un’importante borsa del cotone, approfittando della guerra di secessione americana che bloccava il commercio d’Oltratlantico, e della guerra di indipendenza greca che faceva della città egiziana un rifugio ambito. In quell’agitato periodo Alessandria diventò, grazie ai traffici stimolati dai lavori del Canale, un centro d’affari ma anche di cultura. Scrittori e poeti, come più tardi il grande Kavafis, fecero il miracolo di riallacciare il presente alessandrino con l’antichità, quella di Antonio e di Cleopatra.
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