
DAGOREPORT - COSA FRULLA NELLA TESTA DI FRANCESCO MILLERI, GRAN TIMONIERE DEGLI AFFARI DELLA…
Stefano Montefiori per il "Corriere della Sera"
Al quinto giorno dell'operazione Serval, il presidente Hollande ripete che «la vocazione della Francia non è di restare in Mali»: l'intervento è stato deciso in extremis, era «l'unica soluzione» per evitare la caduta di Bamako e per dare tempo alle forze africane di organizzarsi. Quindi, allora, quanto durerà la missione? «Non partiremo prima di avere ristabilito la sicurezza, autorità legittime, un processo elettorale e ottenuto la fine dei terroristi che minacciano l'integrità del Paese».
Non è un programma da poco. Ci vorranno magari non i dieci anni evocati dal pessimista ex premier Michel Rocard ma - visto lo stato scoraggiante degli eserciti locali a cui bisognerebbe passare il testimone - neanche pochi giorni.
L'inviato speciale dell'Onu, Romano Prodi, a fine dicembre aveva avvisato che una forza militare dei Paesi dell'Ecowas (Comunità dell'Africa occidentale) non sarebbe stata pronta prima di settembre 2013 e nel frattempo le cose non sono molto migliorate. Mentre i contingenti africani (forniti da Nigeria, Niger, Senegal, Benin, Burkina Faso, Togo, Guinea e Ghana) cominciano ad arrivare in Mali a gruppi di poche decine di soldati, l'esercito francese è costretto a potenziare rapidamente le sue forze - da 750 a 2500 uomini - usando le basi militari che per fortuna gli restano da una secolare presenza in Africa.
Nella notte da lunedì a martedì è arrivata dalla Costa d'Avorio a Bamako una colonna di circa 40 blindati, diretti verso la linea del fronte che separa il Nord controllato dagli islamisti dal Sud del governo legittimo; i raid aerei partono sia dalla Francia (cacciabombardieri Rafale) sia dalle basi in Ciad (Mirage) e Burkina Faso (elicotteri Gazelle). Dopo i bombardamenti, le prime truppe di terra sono entrate in azione per riprendere agli islamisti il villaggio di Diabali, giudicato strategico perché a soli 400 chilometri dalla capitale Bamako.
L'impegno della Francia cresce e con esso la perplessità per lo scarso aiuto militare dell'Europa. Domani a Bruxelles si terrà una riunione di emergenza dei ministri Ue, ma intanto ieri a Strasburgo la rappresentante per gli Affari esteri dell'Ue, Catherine Ashton, ha mostrato ancora una volta l'inconsistenza europea su questi temi.
«Vorrei ringraziare gli Stati membri dell'Ue e soprattutto la Francia e gli Stati dell'Ovest africano per essere venuti in aiuto del Mali - ha detto la Ashton usando vuote formule diplomatiche -. Siamo direttamente coinvolti da quel che sta accadendo».
Ha subito preso la parola per risponderle, con la consueta franchezza, l'europarlamentare franco-tedesco Daniel Cohn-Bendit: «Tutti usano il "noi" ma a combattere c'è solo la Francia. L'Europa fornisce le infermiere ma a farsi ammazzare ci sono solo soldati francesi». A Parigi, dopo Alain Juppé nell'opposizione, anche il ministro Alain Vidalies (rapporti con il Parlamento) ha evocato «assenze un po' spiacevoli, il coinvolgimento dell'Europa è davvero minimo».
Hollande è lasciato solo dagli alleati ma in visita negli Emirati assume toni insolitamente marziali dicendo di volere «distruggere i terroristi». Il Consiglio francese del culto musulmano, comunque, lo ha già ringraziato: quando parla del Mali l'Eliseo fa attenzione a non usare mai il termine «ribelli islamici», preferendo «terroristi».
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