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Roberto Scafuri per il Giornale
In brutale sintesi, la notizia per gli appassionati di tormenti pidini sarebbe questa: Dario Franceschini, abbandonato definitivamente Renzi al suo destino, ha scelto il cavallo da corsa per la segreteria: Nicola Zingaretti.
Il governatore del Lazio, in cambio di un appoggio che non era scontato e che dovrebbe sovvertire i pesi al prossimo congresso, ha dovuto solo smussare qualche angolo di retaggio Pci-Pds-Ds (nulla di più facile) e passare al capitolo «rassicurazioni».
Un paio di precisazioni indispensabili al corpaccione doroteo che fa capo ad Areadem di Franceschini (e da qualche tempo anche di Gentiloni) che da 18 giorni dibatte a Cortona, nell'Aretino. Non voglio cambiar nome al Pd, ha (sper)giurato Zingaretti, «tanto che sono assolutamente d'accordo con Gentiloni e mi candido a segretario. Non facciamo caricature del mio pensiero».
Seconda promessa essenziale, «non cerco alleanze con M5S, voglio solo capire e parlare con gli elettori che ci hanno abbandonato». Così Zingaretti è potuto passare alla fase d'attacco, ripercorrendo gli errori renziani di «non guardare in faccia al mostro della sconfitta» e rivendicando invece di «aver battuto M5S per due volte». Il guanto di sfida corre sul filo del Web, ha spiegato.
«Tra di noi diciamo: torniamo nelle periferie con i circoli... Ma se ci andassimo ci accorgeremmo che l'80% dei ragazzi forma la propria coscienza e s'informa dentro la Rete... Noi che siamo gli eredi di una delle forme più straordinarie di organizzazione della democrazia nel Dopoguerra, dobbiamo ammettere di esser stati pigri, perché prima abbiamo deriso Berlusconi con il partito di plastica che ha governato 20 anni e ora abbiamo un atteggiamento subalterno a chi brandisce lo strumento della Rete in forma antidemocratica...». Zingaretti propone perciò un'organizzazione di partito efficiente come quella togliattiana, che «sia la migliore» sulla Rete. Per il resto, ha concluso, «siamo d'accordo sul fatto che bisogna allearsi».
«Con chi» è stato l'intervento di Franceschini a chiarirlo, parlando di una «rifondazione piddina» che sappia «accettare e far convivere le diversità; una lista aperta che non cacci via quelli che ci danno fastidio». Un rassemblement di quelli che «dicono sì all'Europa: da Calenda a Lorenzin fino ad Errani». Un errore non «aver evitato la scissione»; un altro di «non aver evitato la saldatura Lega-M5S»; un altro ancora «non aver candidato Gentiloni il 4 marzo». Sbagli che recano tutti la stessa firma: quella di Matteo Renzi. Franceschini ora s'è accorto che «i popcorn sono finiti» e vuole ripartire con un «congresso secondo le regole statutarie». Ergo con le primarie. Dove, si spera, la popolarità di Zingaretti abbia ragione del candidato-fantoccio di Renzi.
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