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Andrea Malaguti per "La Stampa"
Finisce male. Al termine di una giornata che nella sua testa dovrebbe mettere la pietra tombale sulle ostilità interne del Movimento Cinque Stelle. E che invece riapre in modo plateale la frattura che separa Beppe Grillo e una parte consistente (quindici) dei suoi senatori. Gli stessi che il Pd spera ancora di annettere per consentire al governo di resistere indipendentemente dalle bizze del Pdl.
Grillo, che vuole il voto, lo sa. E anche per questo arriva a Roma con l'aria del poliziotto buono. Spera di cavarsela con due battute su Schifani e Casini e sul vuoto parlamentare che si divora il nulla delle menti, e invece scopre che la realtà - la sua - è un po' più complicata di così. à la senatrice Laura Bignami a recapitargli il messaggio che gli rovina il lieto fine.
«O ci ricevi subito o domani mi dimetto. E non da sola», gli fa sapere. Ci ricevi? Chi? I presunti dissidenti. Lei, Orellana, Campanella, Bocchino, Romani, la Bencini. Un nutrito gruppo di liberi - e per questo insopportabili - pensatori che vuole una risposta semplice a una domanda semplice: il Movimento siete tu e Casaleggio o l'intelligenza aggregata della Rete? Grillo, che ha passato il pomeriggio in Aula al Senato dove il M5S ha chiesto invano di mettere in calendario per il 5 novembre il voto sulla decadenza di Berlusconi, li riceve.
Li abbraccia e parla loro ispirato come se le sue parole seguissero il battito del cuore e navigassero nel sangue restituendogli ossigeno purificatore. «Risolveremo i problemi. Parlerete anche con Casaleggio. La prossima settimana sarà qui».
Un discorso che alla Camera ha funzionato. Compattando più o meno tutti persino sull'idea della richiesta di impeachment per il presidente Napolitano, che, in mattinata, da Bari, aveva liquidato la vicenda così: «Sono venuto qui per una riflessione sul Sud, di altro non mi occupo». Tutto bene, secondo Grillo. Che fino a sera solca i saloni del Senato fiero come se stesse indossando una pelliccia di volpe argentata.
Non ha fatto i conti con la Bignami e con l'esercito dei liberi pensatori, che ora si sono presi tempo fino al V-day di Genova per avere risposte sul proprio ruolo e sull'anima del Movimento. «Strappo rientrato? Vediamo tra un mese», dice la Bignami dopo l'incontro. Grillo racconta un altro film. «Divisi? State scherzando? Se vi fa piacere vi dico: siamo sciolti, non c'è rimasto nessuno». Ride. Ma se ne va con la sgradevole certezza che d'ora in poi i suoi senatori non saranno più obbedienti solo perché imbevuti di paura.
Finisce male. Al termine di una giornata che nella sua testa dovrebbe mettere la pietra tombale sulle ostilità interne del Movimento Cinque Stelle. E che invece riapre in modo plateale la frattura che separa Beppe Grillo e una parte consistente (quindici) dei suoi senatori. Gli stessi che il Pd spera ancora di annettere per consentire al governo di resistere indipendentemente dalle bizze del Pdl. Grillo, che vuole il voto, lo sa.
E anche per questo arriva a Roma con l'aria del poliziotto buono. Spera di cavarsela con due battute su Schifani e Casini e sul vuoto parlamentare che si divora il nulla delle menti, e invece scopre che la realtà - la sua - è un po' più complicata di così. à la senatrice Laura Bignami a recapitargli il messaggio che gli rovina il lieto fine.
«O ci ricevi subito o domani mi dimetto. E non da sola», gli fa sapere. Ci ricevi? Chi? I presunti dissidenti. Lei, Orellana, Campanella, Bocchino, Romani, la Bencini. Un nutrito gruppo di liberi - e per questo insopportabili - pensatori che vuole una risposta semplice a una domanda semplice: il Movimento siete tu e Casaleggio o l'intelligenza aggregata della Rete? Grillo, che ha passato il pomeriggio in Aula al Senato dove il M5S ha chiesto invano di mettere in calendario per il 5 novembre il voto sulla decadenza di Berlusconi, li riceve.
Li abbraccia e parla loro ispirato come se le sue parole seguissero il battito del cuore e navigassero nel sangue restituendogli ossigeno purificatore. «Risolveremo i problemi. Parlerete anche con Casaleggio. La prossima settimana sarà qui». Un discorso che alla Camera ha funzionato.
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