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Federico Rampini per “la Repubblica”
«Mentre ero in congedo paternità ho speso tanto tempo con le nostre squadre a discutere l' interferenza russa nelle elezioni». Comincia così il preambolo alla resa di Mark Zuckerberg. Il fondatore, principale azionista e chief executive di Facebook cede alle pressioni della giustizia e del Congresso, e rivela quanta "pubblicità politica" venne comprata dalla Russia sul social media.
E' un' altra faccia dello scandalo Russiagate, questo versante macchia la reputazione del social media dominante. «Crediamo sia d' importanza vitale - recita il comunicato di Facebook - che le autorità di governo abbiano tutte le informazioni necessarie per far sapere ciò che accadde durante l' elezione del 2016».
Dopo essersi rifiutata a lungo di compiere questa operazione-trasparenza, Facebook fornirà i dettagli sia alle commissioni parlamentari che al super- procuratore speciale, Robert Mueller, cioè tutti coloro che indagano sul Russiagate. Facebook era diventato uno dei "cavalli di Troia" usati dai russi per interferire nella campagna elettorale, sempre a senso unico: in appoggio a Donald Trump e per ostacolare Hillary Clinton.
La vicenda è tanto più imbarazzante per Zuckerberg che vuole presentarsi come un paladino di valori democratici e progressisti (alcuni continuano ad attribuirgli ambizioni presidenziali, che lui smentisce). E infatti la sua dichiarazione resa ieri sera su Facebook Live è un condensato di auto-giustificazioni e di proclami d'innocenza: «Sono profondamente legato al processo democratico e desidero proteggerne l'integrità. La missione di Facebook è dare una voce al popolo e avvicinare i cittadini fra loro. Questi sono valori democratici e ne siamo fieri. Non voglio che qualcuno usi questi strumenti per sabotare la democrazia». Però è proprio questo che è accaduto nel 2016, con Facebook che non vedeva, o fingeva di non vedere da chi arrivavano tutti quei soldi per acquistare pubblicità politica.
HILLARY CLINTON E IL SUO LIBRO WHAT HAPPENED
Quanti soldi, esattamente? Questo Zuckerberg non lo dice. Forse lo dirà agli inquirenti. Per ora l' operazione-trasparenza resta molto lacunosa, generica, del tutto priva di dettagli specifici. In un altro contesto i vertici di Facebook hanno parlato di più di 3.000 inserzioni di pubblicità- propaganda, spazio acquistate da circa 470 clienti russi (che naturalmente potrebbero far capo ad un singolo regista).
La resa di Facebook, tardiva e lacunosa, conferma anche l'arretratezza delle regole in questo campo. Mentre i media tradizionali (giornali, radio, tv) sono soggetti a leggi rigorose che impongono di verificare l' identità di chi acquista spazi pubblicitari in campagna elettorale, nulla di simile esiste per i social media. I russi hanno capito che quello è il Far West, e ne hanno approfittato. Con perizia tecnica, perché a quanto parte i loro messaggi di propaganda politica erano minuziosamente adattati a tante micro-categorie di elettori, a ciascuno arrivava un linguaggio tagliato su misura.
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