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PALAZZO MADAMA - SENATO DELLA REPUBBLICA
Mattia Feltri per “la Stampa”
Un piccola, gustosa e istruttiva Norimberga. Ecco che cosa è stata la seduta di ieri del Senato, la prima del Senato sopravvissuto alla pulizia etnica, com' è vista ora. «Renzi aveva promesso che sarebbe stato l' ultimo presidente del Consiglio a chiedere la fiducia in quest' aula, ma non sarà così, anzi va a casa lui», ha detto Gian Marco Centinaio, capogruppo della Lega.
E c' era un certo gusto a dire certe cose. Niente da tenere a freno: «Ci aveva presi in giro, noi eravamo i capponi, il cappone invece è lui e gli abbiamo tirato il collo», ha detto ancora Centinaio. I vincitori che processano i vinti, senza l' urgenza di una seppure formale, labile resa delle armi. Non c' è da stupirsi, è così che va la storia, nel grande e pure nel piccino, e dunque l' immagine più evocativa è stata la più evocata, quella di Matteo Renzi che nel febbraio del 2014 era entrato per la prima volta in vita sua nell' aula di Palazzo Madama, senza averne l' età, trentanovenne davanti a un'assemblea di ultraquarantenni.
Ed era impettito e con la mano in tasca, come quando si intrattengono gli astanti al dopolavoro. Figurarsi se non gliela ributtavano in faccia quella scenetta, gliel' hanno ricordata tutti, sebbene ieri lui non ci fosse, e a disbrigare le pratiche per la fiducia sulla legge di bilancio fosse stata inviata Maria Elena Boschi. Hanno sparato la cartuccia quelli di Forza Italia, con il capogruppo Paolo Romani e poi coi senatori Remigio Ceroni e Antonio Azzollini, i fittiani (cioè i secessionisti di Raffaele Fitto) con Andrea Augello, i cinque stelle, e come abbiamo visto i leghisti.
Ecco, ci sta. In fondo l' opposizione è stata maltrattata per un migliaio di giorni, e sebbene facesse impressione ci stava anche il silenzio del Pd, i cui senatori non erano presenti in massa come invece loro solito, pochi soprattutto i renziani, e rassegnati all' evaporazione - almeno per il momento - per cui non una protesta, non un brusio, uno scuotimento di testa in reazione alla rivincita vociante delle minoranze.
In un' aula quasi sgombra (e riempita a ora di pranzo soltanto per il voto di fiducia, ottenuto ancora, e nel paradosso più volte sottolineato di una fiducia richiesta da un governo per riuscire a dimettersi) sono risuonate le accuse classiche, ma più rimbombanti, «drammatica immaturità», «infantilismo», «provincialismo», «prosopopea», «arroganza», «coltre di bugie», «bambinette e bambinetti viziati», «deliri di onnipotenza», «manie di grandezza», «imbonitori», tutte pronunciate con quel tono irritato e paternalistico di chi l' aveva detto.
E allora via libera ai più orecchiabili refrain della legislatura, le lobby, i poteri, JP Morgan, le banche, la finanza, i sacrari neolibberisti (con due b) davanti a cui il governo si è inchinato a peggior sorte del popolo, e fino alla struggente denuncia della grillina Laura Bottici, che incurante dell' uscita dal tema ha chiesto che Giorgio Napolitano venisse a riferire in aula per chiarire se nei suoi nove anni al Quirinale abbia «fatto gli interessi del Paese o quelli del la massoneria».
LUCIO BARANI CON LA MAGLIETTA JE SUIS CRAXI
Sarebbe un ulteriore e interessante processo di piazza su imputazioni particolarmente inafferrabili, e dunque ad altissima intensità di pena. Però la sceneggiatura non sarebbe stata perfetta se fossero mancati i saltafosso, pratica qui esercitata con particolare ed apprezzabile vaghezza dai senatori di Ala, noti al mondo come verdiniani, e cioè i più volenterosi soccorritori di Renzi e delle sue riforme. Con meravigliosa leggerezza sono intervenuti - nella persona del capogruppo Lucio Barani e di Pietro Langella, vecchia gloria del Ccd di Pier Ferdinando Casini - per criticare un uso tanto disinvolto della fiducia.
E anche per rimarcare la bocciatura della riforma costituzionale via referendum, per cui uno struggente Langella ha ricordato che «il Senato eletto dal popolo è stato considerato un valore», e che «la riforma presentata come un' operazione di riduzione dei costi della politica è stata letta, invece, come una riduzione degli spazi di democrazia». E dunque esercitiamola questa democrazia, ha detto Langella, «la gente ha bisogno di democrazia», questo testo di finanziaria è «lacunoso», meriterebbe di essere aggiustato e sennò è soltanto «un' occasione sprecata».
RENZI ALFANO CASINI IN SENATO FOTO LAPRESSE
E dopo di lui il suo capogruppo, Barani, si è rammaricato che «ad errori si aggiungano altri errori», sarebbe piuttosto il caso di «capire gli umori più profondi», e con questa estrema fiducia «avvalleremo la totale incompiutezza» della legge di bilancio. Ma la diamo, la fiducia - ha concluso Barani - «per aiutare il presidente Mattarella». Qualcuno da aiutare si trova sempre.
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