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Francesco Bonazzi per Dagospia
Ma che siamo al cinema? Sì, siamo al cinema. Il ministro Fabrizio Saccomanni dice da qualche giorno a familiari e amici che, se fosse per lui, se ne sarebbe già andato da Via XX Settembre, ma poi, al momento opportuno, si esibisce nelle finte dimissioni. Il momento opportuno era ieri mattina, sul presto, quando Sacco-danni ha detto a un Letta furioso per il pasticcio degli insegnanti: "Io se vuoi posso fare un passo indietro, ma poi tutti gli attacchi si concentreranno su di te".
Il premier l'ha presa più che altro come un mezzo avvertimento e da pragmatico è andato oltre, imponendo la retromarcia immediata sul pasticcio degli aumenti da restituire. Che, come sanno tutti al ministero di via XX Settembre, era una faccenda ben nota visto che 80 mila lettere del genere non partono all'insaputa del ministro, nascoste tra gli auguri di Natale.
Il problema Saccomanni però resta tutto intero e un suo passo indietro in tempi rapidi non è da escludere per vari motivi.
Il primo è che stamattina un renziano doc come Dario Nardella è andato a Radio 24 a recapitargli il preavviso di sfratto con queste parole: "Penso sia grave quando un ministro così importante come Saccomanni dice 'sono un esecutore' o 'nessuno mi ha istruito'. Penso che il Ministero dell'Economia debba essere guidato da un politico, come regola generale perché abbiamo visto che l'esperienza dei tecnici non ha funzionato bene".
Il secondo motivo è che ormai ha tutto il dicastero contro e perfino Lurch Cottarelli, che non si vedrebbe male al suo posto, lo ha scaricato ampiamente. Tra l'altro l'idea di assumere trenta tecnici informatici avendo la Sogei a disposizione, come Dago-raccontato, è solo l'ultima bizzarria gestionale.
La terza buona ragione per una decorosa uscita di scena spontanea è legata all'andamento dei conti pubblici. Il dato di oggi sull'aumento del deficit è impressionante e fa prevedere uno sforamento a marzo sul parametro del 3% nel rapporto con il Pil. Questo significa che già a febbraio, qualunque atteggiamento "negazionista" del ministro dell'Economia in sede comunitaria esporrebbe lo stesso Letta al rischio di un'euro-figuraccia di proporzioni bibliche.
Sul punto, per altro, il Saccomanni che ritiene di essere il baluardo di credibilità internazionale del governo di Mezze intese s'illude parecchio perché in realtà ha pessimi rapporti con Ollie Rehn e i famosi mercati sono rassicurati personalmente dalla Cannata, che sovrintende dal ministero alle emissioni di titoli del debito pubblico.
Le dimissioni "spintanee" di Saccomanni sono di gran lunga la via preferita di Letta e Renzi per un semplice motivo: non si può cacciare solo lui, ma servirebbe un rimpastone. Con Saccomanni dovrebbero schiodare anche la Cancellieri, Alfano dal solo Viminale (resterebbe ovviamente vicepremier) e quel Giovannini che il neo segretario del Pd non può vedere manco in fotografia.
Ma poi si porrebbe il problema di fare i conti con la sovra-rappresentazione di un non-partito come il Nuovo centrodestra di Alfano.
Nel caso comunque si aprissero gli spazi per un rimpasto, più che altro per volontà del premier stesso, Renzi non cadrebbe nella trappola di indicare o piazzare suoi uomini. Così gira voce che vedrebbe bene uno come Antonio De Gennaro alla Giustizia e che l'incontro dell'altro giorno con Monti gli abbia fatto venire in mente una gran furbata: la sostituzione del debole Saccomanni con il rigido professore bocconiano. Lui sì "un politico", almeno formalmente.
Certo, stupisce che in tutto questo caos continui il gran silenzio di Re Giorgio, che ha passato il 2013 a invocare "stabilità " ogni due giorni, e ora lascia cuocere a fuoco lento governo e ministri di rango. Qualcuno giura che sogni ormai un'uscita di scena da padre della Patria e che voglia essere ricordato più come un Ciampi che come uno Scalfaro. E allora aspetta di vedere se Renzi e Berlusconi si accordano davvero sulla legge elettorale e poi, a quel punto, non sarà più contrario a elezioni a maggio.
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