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Giusi Fasano per il “Corriere della Sera”
Un uomo che uccide la madre dei suoi figli non è degno di essere fra gli eredi della vittima. Si chiama «indegnità a succedere» e nel mondo perfetto di Vanessa per stabilirlo non dovrebbe essere necessario nessun giudice, nessuna causa civile (come vuole adesso la legge).
Basterebbe rendere tutto automatico: se ti condannano in via definitiva perché hai ammazzato tua moglie (o viceversa) semplicemente non entri nell’asse ereditario.
Ecco. Questo è soltanto uno dei passaggi di una proposta di legge che domani sarà presentata alla Camera dal deputato Roberto Capelli (Cd) e che è stata ideata e messa a punto dalla sua collega di partito Annamaria Busia, avvocatessa e consigliera regionale sarda.
Il progetto di legge è un riflettore acceso sui bisogni e sul trattamento giuridico delle «vittime collaterali», chiamiamole così, dei delitti in famiglia. Nove volte su dieci è il padre che uccide la madre e i figli, spesso minorenni, si ritrovano orfani di entrambi i genitori, o perché l’omicida poi si toglie la vita o perché finisce in carcere per moltissimi anni.
E al dolore già in sé devastante si aggiungono anni e anni di costosissime cause civili per stabilire e per liquidare i risarcimenti oppure per dichiarare, appunto, l’indegnità a succedere. Punti che la proposta di legge renderebbe invece automatici, proprio come il congelamento dei beni di chi ha commesso il delitto e l’obbligo (per il giudice penale) di accordare ai figli il 50% del risarcimento presunto già con la sentenza di primo grado.
Ma che cosa c’entra in tutto questo Vanessa? Tanto per cominciare va detto che lei di cognome fa Mele e che domani arriverà in Italia da Liverpool, dove vive e dove sta seguendo un master in criminologia. Verrà per essere alla Camera quando sarà presentato il progetto di legge e verrà anche perché con la sua sola presenza andrà alla guerra per la terza volta contro suo padre. Anzi, no: contro ogni padre che uccide la madre, come fece il suo il 3 dicembre del 1998, a Nuoro.
La prima battaglia contro l’assassino di sua madre Vanessa la fece che aveva 18 anni: «Mi sono liberata del suo cognome e ho preso quello di mamma», ci ha raccontato lei stessa in una recente intervista. Poi aprì le ostilità contro quell’altra regola assurda...
Appena tornato in libertà suo padre chiese e ottenne la pensione di reversibilità della moglie uccisa, che tra l’altro fino a quel momento era stata per Vanessa l’unica fonte di reddito. Allargarono tutti le braccia: «La legge glielo consente» dicevano. E allora cambiamola, si mise in testa lei. Che riuscì a fare di quell’ingiustizia un caso nazionale. La sua avvocatessa e amica Annamaria Busia anche in quel caso scrisse una proposta di legge e, con l’unanimità alla Camera e al Senato, la regola cambiò: fu abolito il diritto alla reversibilità.
Adesso è tempo di una nuova lotta, anche se stavolta Vanessa è ispiratrice, più che partecipante. L’avvocatessa le aveva parlato dell’intenzione di scrivere il nuovo progetto di legge, le aveva detto di averci riflettuto proprio studiando il suo caso. Quando ha finito di scriverlo glielo ha spedito, lei lo ha letto e riletto per dieci giorni e poi ha risposto con un messaggio: «Ho preso il biglietto». Il suo modo di dire «sto dalla tua parte, ci sono».
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