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Ugo Magri per "la Stampa"
La riforma elettorale è ostaggio del Cavaliere. Nel senso che lui sta valutando di far cadere il governo entro pochi giorni, se non gli daranno l'«election day» (lo pretende il 10 febbraio prossimo, data che sul Colle giudicano tecnicamente impossibile, in modo da farsi dire no e scatenare la crisi).
A quel punto, non ci sarebbe più nemmeno il tempo di approvare alla Camera la legge «ammazzaPorcellum», su cui l'aula del Senato inizierà a votare domattina. Quale che sia l'esito di queste votazioni, la riforma verrebbe travolta dalla fine della legislatura. Per cui in queste ore, a Palazzo Madama, tutti stanno col fiato sospeso e si arrabattano per capire che cosa diavolo ha in mente Berlusconi.
Può pure accadere che Silvio all'ultimo momento freni; o che non riesca a far cadere Monti per la defezione di una parte del Pdl; o che, cosa altamente probabile, Napolitano sappia resistere al diktat di Arcore, dunque l'«election day» si svolga il 10-11 marzo, lasciando un tempo sufficiente per approvare la riforma elettorale anche alla Camera. Pure in quel caso, però, Berlusconi sarebbe in grado di ficcare un bastone tra le ruote della riforma, aizzando la folla dei «nominati» contro un testo che per loro è mortifero, in quanto prevede il ritorno alle preferenze.
Come se non bastasse, al Pd sono arrivate numerose voci che vorrebbero Berlusconi pronto ad affossare la riforma già oggi in Senato, bloccando la mediazione confezionata dal solito Calderoli (oltre alle preferenze, un premio di maggioranza modulato in proporzione ai voti ottenuti dal partito vincitore). Non che Bersani e il suo partito stravedano per la mediazione leghista.
Anzi, tutto sommato si terrebbero volentieri la legge attuale che, tra le altre cose, avrebbe in pregio di garantire loro 10 seggi in più nel caso di vittoria. Però a sinistra non intendono recitare la parte dei sabotatori davanti al Paese e soprattutto al cospetto di Napolitano, pronto a scagliare le sue saette. Casini già mette in guardia: «Se la riforma non passa, le responsabilità devono essere visibili».
Il segretario Pd ha riunito ieri mattina i vertici e lì ha dato disposizione che la legge venga approvata così come l'ha concepita Calderoli. «Si va avanti», conferma la capogruppo Finocchiaro, «con l'incognita Pdl». Nella speranza che sia Berlusconi a levare le castagne dal fuoco.
Ma, appunto, cosa deciderà il Cavaliere? Il relatore di maggioranza della legge, Malan, è un suo fedelissimo. Conferma che al Capo le preferenze non piacciono né poco né punto. Avverte che da Arcore lo «stop» potrebbe arrivare anche un attimo prima di iniziare domattina in aula. Però non è detto che Berlusconi alla fine intervenga; nel qual caso pure il Pdl sosterrà la riforma...
Quagliariello ha partecipato ieri pomeriggio a un incontro con il Pd, dando assicurazioni che, allo stato, si procede. Stesso esito da un lungo vertice in via dell'Umiltà . Dove in molti tentano di spiegare al Cavaliere che mettersi di traverso avrebbe poco senso. Il più persuasivo è il senatore Augello, molto influente a Palazzo Madama. La mossa rischierebbe di rivelarsi inefficace, è la sua tesi fatta giungere a Berlusconi, perché a quel punto la Lega farebbe blocco con il Pd, col risultato di far passare la riforma. Se invece l'altolà berlusconiano avesse successo, il più felice sarebbe proprio Bersani...
Stanotte, la Commissione porterà le ultime limature. Tra le norme, ne spunta una proposta da Bianco (Pd) per mettere alle spese dei candidati un tetto di 80mila euro. Se sforano, perdono la poltrona.
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