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Stefano Zurlo per "il Giornale"
Due anni di silenzio. Gli hanno rovesciato addosso una valanga di accuse, insinuazioni e calunnie. Poi i giornali e le tv si sono dimenticati di Nicola Izzo. Silenzio e ancora silenzio. Del resto la campagna lanciata da Repubblica il 2 novembre 2012 si era conclusa in meno di una settimana con le dimissioni del prefetto da numero due della polizia.
Partita chiusa. Almeno per la grande stampa che non si è preoccupata, se non in minima parte, di verificare la correttezza di quel che veniva contestato al vice di Antonio Manganelli. Solo trafiletti o articoletti piccoli piccoli per registrare che le denunce del Corvo, amplificate dall'altoparlante dei giornali manco fosse la Bibbia, erano state smentite su tutta la linea dal procedere delle inchieste.
Izzo ha lasciato l'incarico e le sue ambizioni di carriera, la Procura di Roma, che a leggere le articolesse e le prime pagine dell'epoca sembrava sul punto di fare fuoco e fiamme contro una fantomatica lobby dei corrotti guidata dal potente poliziotto, ha aperto sì un'inchiesta ma solo per scoprire l'identità del Corvo, senza peraltro venire a capo di nulla. In parallelo, la procura di Napoli, che nel 2010 aveva iscritto il prefetto nel registro degli indagati per turbativa d'asta, non ha fatto un passo in avanti ma ha spedito le carte a Roma per competenza. E i pm della Capitale, svolti gli accertamenti, hanno mandato tutto in archivio per mancanza di prove, anzi di indizi.
Il corrotto Izzo, il «puparo» per stare al linguaggio oxfordiano dell'anonimo, il cinico senza pietà che avrebbe spinto addirittura un vicequestore a suicidarsi, non è stato condannato. E non è stato nemmeno processato. Perché non ne valeva la pena. Ma la grande stampa, dopo aver tambureggiato in quei giorni di novembre e dopo aver dato spazio al Corvo scambiandolo per una fonte autorevolissima, forse le Sezioni unite della Cassazione, ha snobbato il clamoroso sgonfiarsi delle presunte, molto presunte colpe di Izzo e ha confinato in qualche articoletto il suo definitivo proscioglimento.
Nessuno o quasi si è mosso per intervistarlo. Non ci ha provato il Fatto, che pure era stato implacabile in quella settimana di passione, non l'ha fatto il Messaggero, sono andati a cercarlo e gli hanno dato la parola solo Repubblica e il Tg1 di Mario Orfeo, già direttore del Messaggero ai tempi dell'imboscata.
L'anno prossimo al tribunale di Roma verranno processati per diffamazione otto cronisti del Fatto, Messaggero, Repubblica. Più, per omesso controllo, i loro direttori dell'epoca: appunto Mario Orfeo e poi Ezio Mauro e Antonio Padellaro. Ma la resa dei conti non è finita: l'indagine sulla campagna di dossieraggio è ancora in corso e potrebbe concludersi con nuove richiesta di rinvio a giudizio.
Tutto questo riguarda l'onore di Izzo; le sue chance di prendere il posto di Antonio Manganelli, scomparso di lì a qualche mese per una grave malattia, sono naufragate in quel mese di novembre. Pareva tutto vero, era solo un cumulo di falsità. Ma nessuno gli ha ancora chiesto scusa.
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