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Massimo Gaggi per âIl Corriere della Sera'
La speranza è che Putin si fermi comprendendo che sta andando incontro a un isolamento politico a livello internazionale: una situazione che alla lunga costerà alla Russia molto più del dubbio vantaggio di riportare l'Ucraina sotto la sua orbita d'influenza. Lo spettro è quello di trovarsi a sprofondare, davanti all'aggressione russa, in quella che ieri Roger Cohen definiva sul New York Times l'«era della riluttanza»: un'epoca nella quale la potenza americana è ancora preponderante, ma non è più decisiva.
Mentre la sua volontà politica è logorata, imbrigliata da una mancanza di coesione tra Usa ed alleati europei e anche dalla scarsa disponibilità delle opinioni pubbliche occidentali a sostenere le pesanti conseguenze economiche di un boicottaggio economico nei confronti di Mosca.
Per scongiurare una simile deriva, Obama ha provato ieri a riprendere l'iniziativa mandando a Kiev il segretario di Stato, John Kerry, arrivato nella capitale ucraina con un piano di aiuti aggiuntivo rispetto all'intervento del Fondo monetario internazionale: un miliardo di dollari destinati soprattutto a compensare i maggiori costi per approvvigionamenti energetici che il Paese dovrà sostenere con la sospensione delle forniture russe di idrocarburi, e aiuti logistici per l'organizzazione delle prossime elezioni politiche.
Kerry ha promesso aiuti economici ed assistenza tecnica ma non militare al nuovo governo ucraino contestando, con una sua stessa presenza a Kiev, la tesi di Putin dell'illegittimità dei leader che hanno sostituito il presidente Yanukovich, fuggito in Russia. Il capo della diplomazia Usa ha poi scandito con una durezza verbale per lui inconsueta che «non esiste nemmeno un singolo pezzo di credibile evidenza che possa essere invocato da Mosca» per giustificare la sua aggressione. Quelle di Putin sono solo falsità : «à chiaro che la Russia ha lavorato duro per cercare di costruire a tavolino un pretesto che giustificasse l'invasione».
Da Washington anche Barack Obama ha fatto sentire la sua voce: «L'intervento russo rappresenta un'aperta violazione delle leggi internazionali, su questo c'è una diffusa consapevolezza nel mondo. Putin nega? Dice di avere avvocati diversi che sostengono cose diverse, ma le sue giustificazioni non ingannano nessuno: questa è un'aggressione, Mosca pretende di esercitare la sua influenza con l'uso della forza».
Ma se Putin non cambia rotta perché, come sostiene Angela Merkel, ha perso il contatto con la realtà o pensa di vivere in una realtà diversa, che si fa? Esclusa l'opzione di un sostegno militare all'Ucraina, rimangono alcune possibili iniziative politiche e le ritorsioni economiche, ma anche queste non sono per nulla facili da attuare.
Senza il pieno sostegno dell'Europa, Washington in questo campo può fare ben poco: il suo interscambio con Mosca arriva appena a 40 miliardi di dollari, mentre quello Ue-Russia è di ben 460 miliardi. E i Paesi europei, molti dei quali fortemente dipendenti dal gas russo, vogliono evitare a tutti i costi la rottura.
Vale soprattutto per la Germania che ha anche forti interessi industriali nel Paese guidato da Putin e perfino per il più fedele alleato degli Usa, la Gran Bretagna: la City di Londra dipende in misura rilevante dai capitali che vengono da Mosca e San Pietroburgo. Tra l'altro un boicottaggio limitato agli Usa, oltre ad essere poco efficace, danneggerebbe fortemente alcune delle principali multinazionali americane: General Motors, Boeing, Exxon e anche la Pepsi, per la quale la Russia è il secondo mercato mondiale.
Obama rischia di trovarsi a lungo in mezzo a un guado di accuse dei conservatori per i quali quello che sta avvenendo è frutto delle sue incertezze, della scarsa volontà di impegnarsi mostrata più volte di recente, dal ruolo di seconda fila degli Usa nell'intervento in Libia, alla rinuncia a punire il regime siriano di Assad per l'uso di armi chimiche. Rispunta perfino l'ormai dimenticata Sarah Palin: forte della sua profezia del 2008 («se eleggeremo Obama, la sua indecisione incoraggerà Putin a occupare l'Ucraina»), parla del presidente americano come di un ragazzino spaventato davanti all'orso Vladimir.
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