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Tonia Mastrobuoni per “la Repubblica”
L'inchiostro delle 27 firme sotto la dichiarazione che ha celebrato sabato scorso i 60 anni dei Trattati di Roma non si è neanche asciugato che già si è riaperta l' ennesima spaccatura nel cuore dell' Europa. E sul tema più spinoso degli ultimi tre anni, quello dei profughi. Al riottoso quartetto di Visegrad e ai partner europei che si rifiutano di rispettare l'accordo europeo sottoscritto nel 2015 sulla redistribuzione di 160mila profughi, si aggiungerà da oggi l'Austria.
Il governo dovrebbe approvare al Consiglio dei ministri una proposta del ministro della Difesa, il socialdemocratico Hans-Peter Doskozil, che chiede di ignorare l' accordo dell'Unione europea. Nel caso cadrebbe l'impegno a farsi carico, in particolare, di 1.491 richiedenti asilo dalla Grecia e di 462 provenienti dall' Italia. Numeri piccoli, certo, ma quello che conta è la dirompente novità politica.
Peraltro, l'annuncio ha creato un' imbarazzante retromarcia del collega dell' Interno di Doskozil, il conservatore Wolfgang Sobotka, che aveva solennemente dichiarato poche ore prima a Bruxelles, davanti agli omologhi europei, di avere «l' obbligo di rispettare il processo cui l'Austria ha aderito», aggiungendo di averne già parlato con il collega italiano, Marco Minniti, e con il Commissario Ue competente, il greco Avramopoulos. Poi, l'inversione a U.
La tesi di Doskozil è che l'Austria avrebbe già fatto la sua parte avendo accolto 90 mila profughi nel 2015 e altri 30mila l' anno scorso su una popolazione di 8,5 milioni di abitanti.
Vienna avrebbe accettato in proporzione «molte più domande d' asilo dell'Italia, ovvero 4.587 contro 1.998 domande per un milione di abitanti», ha puntualizzato il socialdemocratico. Secondo Doskozil, l'Austria «non sta dunque uscendo dall' intesa europea: Vienna, visti gli accordi presi, non sarebbe più tenuta ad accogliere altri richiedenti asilo».
Nel tentativo disperato di frenare l'ascesa dei populisti di destra della Fpoe, ormai il primo partito nel Paese da oltre un anno, il cancelliere Christian Kern sta giocando la carta della stretta sui migranti. A farne le spese, come al solito, saranno i Paesi più esposti ai flussi migratori, in primo luogo Italia e Grecia. Soprattutto, da quando Vienna ha coordinato il famigerato blocco dei muri lungo i Balcani che ha spento i flussi provenienti da lì, dirottandoli nuovamente sul Mediterraneo.
Dal Viminale, infatti, i tecnici commentano che «alla faccia della solidarietà Ue, ci si piega a logiche di politica interna. Ma il tira e molla di Vienna incide poco a livello di numeri sul piano complessivo». L' impegno Ue infatti è di ricollocare 98.255 migranti, di cui 40mila dall'Italia. I numeri fotografano finora un flop: ad oggi dall'Italia sono stati trasferiti solo in 4.438, di cui 321 bambini.
Tuttavia, il Commissario europeo Avramopoulos non condivide la tesi che Vienna abbia già ottemperato ai suoi impegni: «Non ci sono più scuse», ha avvertito ieri, dopo i ritardi accumulati dagli austriaci nei ricollocamenti dei profughi che doveva accogliere da Italia e Grecia. Oggi il greco sarà peraltro a Budapest per parlare con Viktor Orbán della discussa legge sulla detenzione dei migranti.
E l' autocrate ungherese ha già mandato il suo messaggio esplicito a proposito dell' idea di ridiscutere i capitoli dei bilanci Ue anche per aumentare le pressioni sui paesi che si rifiutano di accogliere i profughi ma che approfittano ampiamente dei generosi fondi strutturali di Bruxelles. Tipicamente, sono i partner dell' Est Europa, proprio quelli che si mostrano così poco solidali su altri capitoli. Nel suo passaggio romano per l' anniversario dei Trattati, il portavoce di Orban, Zoltan Kovacs, ha accusato l' Italia di "ricatto" proprio perché sta comprensibilmente aumentando le pressioni sui riottosi partner dell' Est europa.
christopher furlong centinaia di migranti al confine tra ungheria e austria
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