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Serena Danna per il “Corriere della Sera”
bill clinton hillary e donald trump
Se è vero che i brogli elettorali sono antichi quasi quanto la democrazia, la possibilità di sabotare un' elezione senza che nessuno se ne accorga è un prodotto della rivoluzione digitale. Mentre Hillary Clinton e Donald Trump si scontrano su chi sia più ipocrita, bigotto o corrotto, gli esperti di sicurezza nazionale e informatica provano a richiamare l'attenzione su un problema sempre più pressante: affidare la scelta del prossimo presidente al voto elettronico è un rischio enorme.
Un pericolo lamentato da anni dagli esperti - al punto che è nata anche una categoria di cyber-accademici che, scrive Politico , «hanno passato l' ultima decade servendo il loro Paese attraverso il tentativo continuo di hackerarlo» - che ha avuto recentemente il sigillo dell' Fbi. È dei giorni scorsi la notizia che hacker probabilmente russi hanno attaccato i sistemi di registrazione del voto degli elettori in Arizona e Illinois.
L' operazione arriva un mese dopo la divulgazione da parte di Wikileaks delle mail interne del partito democratico che ha portato alle dimissioni di Debbie Wassermann Schultz. «Se la National Security può essere attaccata - spiega l' esperto di cultura digitale Clay Shirky al Corriere della Sera - allora ogni device collegato a internet può esserlo, comprese le macchine elettorali».
Il docente della New York University non può dire con certezza che dietro i recenti episodi ci sia la Russia, ma ricorda che «molti leak provengono da un hacker chiamato Guccifer, orchestrato dalla Russia, che come molti Stati autoritari non vorrebbe Hillary Clinton presidente».
Tra coloro che provano a sensibilizzare l' opinione pubblica sulla vulnerabilità del voto elettronico c' è il guru della crittografia Bruce Scheiner, che ha invocato un ritorno del voto di carta per elezioni di novembre: «Tutti ignorano le minacce informatiche fino a quando è troppo tardi per rimediare - spiega al Corriere -. Ed è tardi per aggiustare i catorci elettronici sparsi per gli Usa». Al momento sono cinque gli Stati in cui è in funzione il voto esclusivamente elettronico, - ma quelli in cui è possibile intrufolarsi tramite internet nel sistema sono 13.
Il paradosso, come fa notare Zeynep Tufekci sul New York Times , è che sono gli swing states , gli Stati in bilico, a utilizzare il vulnerabile sistema elettronico. Altri, come Maryland e Virginia, hanno deciso in autonomia di tornare al voto di carta. Come ricorda al Corriere la docente Biella Coleman, «non c' è un sistema unico, nessuno può hackerare l' intero Paese». Peccato che spesso si diventa presidenti per poche centinaia di voti.
Per correre ai ripari, già nel 2002 il Congresso ha votato l' Help America Vote Act e stanziato 4 miliardi di dollari per nuove macchine elettorali. Tutti gli Stati si sono precipitati sui soldi, peccato che 4 anni dopo avevano speso solo 250 milioni in tecnologia elettorale. «La legge è una parte del problema - continua Scheiner -. Negli anni in cui gli Stati volevano comprare nuove macchine, le compagnie insistevano per vendere quelle già in commercio». Il mercato era dominato fino a pochi anni fa da 2 aziende, Diebold e ES&S, abituate a trattare il codice come un segreto da proprietà intellettuale. Come per la tipologia di voto, anche i parametri di sicurezza informatica sono decisi Stato per Stato: non esiste una griglia unica di valutazione. Resta un' unica certezza: la carta è l' unico modo per non correre rischi.
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