L'IMU-RTACCI DE LETTA! - BEFFA PER LA SECONDA RATA DELLA TASSA PIÙ ODIATA DEGLI ITALIANI: IN 600 COMUNI SI PAGHERÀ L'AUMENTO PREVISTO DAI SINDACI

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Alessandro Barbera per "La Stampa"

La si potrebbe definire la maliziosa applicazione del principio di federalismo responsabile: tu hai alzato le aliquote, tu te ne assumi la responsabilità di fronte ai tuoi concittadini. Gli italiani che si troveranno costretti a pagarla la giudicheranno per quel che è: una beffa. Per i sindaci che ora devono decidere che fare è una bella grana.

Già, perché se uno si fermasse agli annunci del governo dovrebbe concludere che sulla seconda rata dell'Imu sulle prime case di quest'anno è finalmente tutto a posto. Non è invece così, non almeno per i seicento Comuni che, in attesa di capire cosa sarebbe accaduto a Roma, hanno incautamente alzato le aliquote.

Fra questi Milano, Bologna, Napoli e Genova. Chi possiede una casa in uno di questi Comuni a gennaio dovrà pagare metà di quanto previsto dall'aumento, dice il comunicato diffuso ieri sera da Palazzo Chigi, poiché il governo promette di farsi carico dell'altra metà. A meno che i Comuni non decidano autonomamente di fare un passo indietro e di rinunciare a quel gettito. Nel solo caso di Milano per Giuliano Pisapia significherebbe rinunciare a circa cento milioni di euro.

Fatto è che ieri Letta ha approfittato della decadenza del voto sulla decadenza del Cavaliere per annunciare la lieta novella dell'abolizione della seconda rata della tassa sulla prima casa. Ma far tornare i conti quando si ha fretta non è semplice. Per accontentare tutti il premier avrebbe dovuto trovare quasi tre miliardi, ne ha raccolti poco più di due.

Restano fuori dall'esenzione le abitazioni che insistono sui terreni agricoli: il consiglio dei ministri ha esentato i soli «immobili strumentali», per capirsi stalle e affini. Una mezza esenzione rispetto alle promesse, che però ha fatto emergere una delle tante contraddizioni in cui è incappato questo governo: i beni strumentali delle imprese agricole sono esentati dall'Imu al 100%, quelli delle altre aziende del 30%. «Non possiamo essere d'accordo con una simile diversità di trattamento», abbozza il capo degli industriali Giorgio Squinzi.

L'altra novità dell'ultima ora è l'aggravio sulle banche. Le quali, oltre a dover pagare un acconto del 130% sulle tasse del 2014 e di parte di quanto dovuto per la gestione del risparmio, si faranno carico anche di un aumento una tantum delle aliquote Ires al 36%, otto punti percentuali.

L'Abi, l'associazione d'impresa che riunisce le banche, non l'ha presa bene e fa trapelare la propria irritazione. Si potrebbe argomentare che, al netto delle misure varate a loro favore (fra queste la deducibilità delle perdite, il fondo di garanzia per le imprese e la rivalutazione delle quote di Banca d'Italia) non avrebbero complessivamente di che lamentarsi.

Certo è che trovarsi dalla sera alla mattina con l'aumento di otto punti delle tasse non è un gran vedere. Non per le grandi aziende abituate a fare pianificazione fiscale. Non in un Paese che si mostra deciso a voler attirare nuovi investitori.

L'incertezza è invece la cifra prevalente di questo governo. Basti guardare a cosa accade alla cosiddetta Legge di Stabilità. La relazione tecnica che la accompagna ci racconta che il passaggio al Senato l'ha fatta lievitare di 2,6 miliardi, alzando il saldo da 11,4 a 14 miliardi. Nonostante questo il testo alla Camera cambierà ancora. «Può essere migliorata», spiega Letta.

Gli equilibri nella maggioranza sono ormai stravolti, e l'uscita dei forzisti apre scenari nuovi, anche per le lobby di riferimento. C'è poi chi non è per nulla soddisfatto di quel che si è fatto finora: è il caso del ministro delle Regioni Delrio, che considera insufficienti le risorse stanziate per garantire le detrazioni della nuova Iuc, la tassa sulla casa che da gennaio manderà in pensione la vecchia Imu.

 

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