DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Federico Rampini per “la Repubblica”
il presidente iraniano rohani si gode l iran ai mondiali
«Abbiamo identificato il boia dei giornalisti Foley e Sotloff ». Lo rivela James Comey, il capo dell’Fbi, confermando l’annuncio dei servizi segreti inglesi. Si tratta proprio di quel jihadista con un forte accento britannico, che sgozza personalmente i due giornalisti americani nei due video diffusi dallo Stato Islamico. Il suo nome non viene divulgato, spiega l’Fbi, per consentire la massima efficacia delle indagini, interrogare parenti e amici rimasti in Gran Bretagna, possibilmente tentare una spedizione di reparti speciali per catturarlo in Siria.
«Ci sono anche una dozzina di jihadisti americani che stanno combattendo nei ranghi di Is in Siria», sempre secondo l’Fbi, che aggiunge poi: «Più numerosi sono quelli tornati negli Stati Uniti». Tornati perché pentiti, delusi, traumatizzati, o invece per proseguire la lotta con altri mezzi portandola proprio sul territorio americano?
A questo proposito il neopremier iracheno Haider Al-Abadi parla di «informazioni credibili» sulla preparazione di attentati nei metrò di New York e Parigi. L’Fbi reagisce con scetticismo («a noi non risulta»), e il sindaco di New York Bill de Blasio convoca apposta una conferenza stampa per rassicurare: «Nessun fondamento. New York è sicura. Non cediamo alla psicosi, è proprio quello che vorrebbero i terroristi».
bill de blasio con la famiglia a grassano in basilicata 9
La guerra guerreggiata contro Is, alla terza notte di raid americani sulla Siria, si è concentrata su un nuovo obiettivo: le raffinerie di petrolio cadute in mano alle milizie jihadiste. È «petrolio rubato», secondo la definizione che dà l’Amministrazione Obama. È una delle fonti di finanziamento dello Stato Islamico, insieme coi riscatti per i rapimenti.
La risoluzione Onu votata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza su richiesta di Barack Obama invoca esplicitamente il prosciugamento di queste fonti di finanziamento. Le 12 piccole raffinerie bombardate ieri dalla U.S. Air Force si trovano nelle zone orientali della Siria. Il Central Command (Centcom) ci tiene a divulgare questo dettaglio: in uno dei raid il comando dello squadrone aereo è stato assunto da una donna pilota degli Emirati arabi uniti. Una notizia che evidentemente si vuole mettere in contrasto con il ruolo della donna nelle aree controllate dai fondamentalisti islamici.
Secondo i dati forniti dal Centcom quelle raffinerie producevano prima dei raid dai 300 ai 500 barili di petrolio al giorno, un flusso modesto e tuttavia sufficiente, una volta venduto sul mercato nero, a garantire 2 milioni di dollari di entrate al giorno.
Ma è proprio il Pentagono a raffreddare le aspettative, evitando ogni trionfalismo. «E’ prematuro dire che la nostra coalizione sta vincendo – ammoniscono i vertici militari Usa – anche perché in aiuto allo Stato Islamico continuano ad affluire soldi, armi, e combattenti ».
A riprova che la partita sul terreno è ardua, c’è la notizia di un massacro di 300 soldati dell’esercito regolare iracheno, un’altra débacle di fronte all’avanzata dei jihadisti sunniti. Su un fronte diverso, nulla ha frenato un’ulteriore avanzata dello Stato islamico nei villaggi del Kurdistan più vicini alla frontiera con la Turchia.
Mentre si intensifica la fuga di curdi al di là del confine turco, dai loro capi è stato lanciato un appello agli Stati Uniti perché «facciano sul serio» e vadano a colpire le milizie di Isis anche in quell’area. Richiesta ad alto rischio, perché i raid americani potrebbero sconfinare sul territorio turco. E finora il governo di Ankara, unico paese islamico nella Nato, ha mantenuto un atteggiamento distante o perfino freddo rispetto alla coalizione anti-Is messa assieme dagli americani.
Una requisitoria severa contro gli errori dell’Occidente e dei suoi alleati, è stata pronunciata ieri qui a New York dal presidente iraniano, Hassan Rohani. Proprio lui, che esattamente un anno fa accendeva le speranze di un disgelo Usa-Iran con il suo colloquio diretto con Barack Obama, intervenendo all’assemblea generale Onu ha accusato l’intero Occidente di avere «sbagliato strategia in Medio Oriente».
Tra gli errori, Rohani ha elencato le guerre in Iraq e in Afghanistan, le «ingerenze inappropriate in Siria», per concludere che «la democrazia non si trapianta dall’estero». Poi se l’è presa con gli alleati americani del Golfo Persico, quelli che attualmente partecipano ai raid aerei sulla Siria, Arabia saudita in testa. Il leader iraniano ha accusato le monarchie sunnite del Golfo di avere «svolto un ruolo nel creare e sostenere i gruppi terroristici. L’obiettivo degli estremisti — ha concluso — è la distruzione della civiltà ».
Un retroscena del Wall Street Journal getta una nuova luce sulla tensione fra Arabia saudita e Iran. L’Amministrazione Obama, e in particolare il segretario di Stato John Kerry, avrebbero negoziato per settimane prima di ottenere il prezioso coinvolgimento dell’Arabia saudita nei raid sulla Siria.
Una delle condizioni poste dal re saudita Abdullah, è che l’America partecipi alle forniture di armi ai ribelli siriani in lotta contro Assad, il dittatore di Damasco che invece continua a godere del pieno appoggio iraniano. «Se non fosse per noi – ha detto Rohani – l’Is avrebbe conquistato anche Bagdad».
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