
FLASH! - IL DILEMMA DI GIORGETTI: IL CAPO DELLE PARTECIPATE DEL TESORO E SUO FEDELISSIMO, MARCELLO…
Guido Olimpio per il “Corriere della Sera”
barack obama incontra aung san suu kyi 18
Sono guerre parallele. Condotte in modo separato ma con qualche forma di collaborazione. Tacita e, a volte, imbarazzata. Le combattono gli Usa insieme agli alleati, poi i rivali, ossia gli iraniani, i siriani. Tutti affratellati dalla necessità di piegare l’Isis. Ambiguità di una crisi dove mai nulla è chiaro o lineare.
Il Pentagono ha confermato che caccia iraniani hanno colpito, a fine novembre, posizioni jihadiste nella provincia irachena di Diyala. Attacchi condotti all’interno di una fascia di sicurezza che Teheran ha creato lungo il confine per prevenire infiltrazioni. Protagonisti dei raid i vecchi F4, i famosi Phantom, velivoli acquistati in Usa all’epoca dello Scià che l’Iran ha mantenuto in servizio cercando pezzi di ricambio sul mercato nero o dove ha potuto.
il presidente iraniano rohani si gode l iran ai mondiali
La comparsa degli F4, filmati anche dalla tv Al Jazeera , è un’evoluzione di quanto avvenuto a partire dall’estate. Teheran ha mandato i consiglieri ad assistere curdi e milizie irachene, quindi ha prestato dei Sukhoi 25 a Bagdad — si dice insieme ai piloti —, infine ha ostentato la presenza del generale Qasem Soleimani, il responsabile della Divisione Qods, l’apparato speciale dei pasdaran. Lui si è fatto fotografare su tutti i fronti per dire: siamo noi a coordinare la controffensiva sul terreno.
In parte è vero, come è vero che le operazioni hanno goduto della protezione aerea degli Usa. Si è così creata una collaborazione di fatto tra due avversari, pronti a negarla ma disposti ad accettarla. Ieri il segretario di Stato Kerry ha smentito che vi sia una cooperazione, però ha definito i raid «un evento positivo». E non è un mistero che proprio il capo della diplomazia americana avesse auspicato un’azione comune con gli ayatollah nel nome della lotta all’Isis.
Più cauti gli iraniani — almeno in pubblico —, timorosi di irritare gli ambienti oltranzisti della Repubblica Islamica, ma comunque a loro agio in questa situazione. Hanno ridotto le distanze con gli Stati Uniti, hanno irritato due alleati importanti dell’America, Israele e l’Arabia Saudita, hanno provocato un attacco di bile a quella parte del Congresso che non vuole il dialogo con Teheran.
Dichiarazioni a parte, è impossibile pensare che l’Iran mandi i suoi Phantom senza qualche forma di comunicazione, magari via Bagdad, con gli Usa. Troppo alto il rischio di incidenti, con caccia e droni di molte nazioni che sfilano in uno spazio abbastanza contenuto.
Se non lo facessero sarebbero degli irresponsabili. Per questo stesso motivo è plausibile che il Pentagono «parli» con i siriani. Gli aerei americani colpiscono spesso l’area di Raqqa, così come lo fanno i Mig di Damasco. Ecco dunque la campagna parallela, ancora più contraddittoria, perché Washington per lungo tempo si è mossa per cacciare Assad.
Ora l’obiettivo sembra sbiadito, anche se gli amici degli Usa nella regione pretendono la rimozione del raìs che, furbescamente, imita Teheran e manovra per mettersi vicino agli Stati Uniti. Non potendolo fare politicamente, usa la carta militare per sottolineare che il vero nemico è l’Isis.
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