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Tonia Mastrobuoni per "La Stampa"
Quando mancano pochi minuti all'arrivo del treno, il poliziotto fa un ultimo tentativo di disperdere la folla. Si aggrappa al megafono e lancia, poco convinto, un allarme bomba. La bugia è talmente palese che la gente scoppia a ridere, un ragazzo osa un'ironica pacca sulla spalla: «Raccontacene un'altra, vecchio». Una Mosca particolarmente accogliente, assolatissima dopo una notte di piogge torrenziali, si prepara a dare il benvenuto all'ultima speranza dell'opposizione.
Il treno delle 9,43 riporterà nella capitale l'ennesimo avversario di Putin che rischia di marcire in carcere a causa di un sistema giudiziario usato ormai da anni come una clava contro qualsiasi forma di dissenso. Alla stazione di Yaroslavl, sin dalle prime ore del mattino, centinaia di persone stanno aspettando il ritorno a casa di Alexei Navalny.
L'atmosfera, nella stazione dove 19 anni fa anche il grande scrittore-dissidente Solzenicyn fece ritorno dal lungo esilio, è di festa. Le bugie dell'agente, il suo goffo allarme-bomba, rimbalzano contro un muro di sorrisi e di volti raggianti che aspetta in testa al binario di accogliere l'eroe anti-Putin dopo il verdetto più duro. La stragrande maggioranza delle persone che lo aspettano ha meno di trent'anni e moltissimi tengono in mano grandi mazzi di fiori.
L'accesso al binario è sbarrato da un cordone di agenti in tenuta anti-sommossa dall'aria non particolarmente convinta. Quando il treno in arrivo da Kirov entra nella stazione, fanno un tentativo svogliato di creare un corridoio per dividere la folla. Navalny scende dal treno, accompagnato dalla moglie Julia e da Pyotr Ofitserov, il co-imputato del processo farsa che sta tenendo la Russia col fiato sospeso. Scoppia un lungo applauso. Poi le decine, centinaia di persone che lo aspettano da ore supera ogni resistenza della polizia.
La folla circonda il blogger, la moglie, Ofitserov e da subito partono i cori «Navalny-Navalny». Un fiume umano li accompagna all'uscita, mentre lui alza il pugno, sorride, stringe mani e ringrazia. Una ragazza non riesce a trattenere le lacrime, anzi, comincia a singhiozzare appena lui le gira le spalle per stringere altre mani. «à la nostra unica speranza», sussurra. Difficile non farsi coinvolgere da questa atmosfera di festa e disperata fede.
In cima a una scalinata, già quasi fuori dalla stazione, l'avvocato che è riuscito a mettere miracolosamente d'accordo la litigiosa opposizione russa, improvvisa un comizio. «Avete fatto in modo di liberarci - grida - Grazie». Giovedì, probabilmente a seguito di una imponente manifestazione a Mosca che protestava contro la condanna a cinque anni inflitta a Navalny, i giudici hanno accolto la richiesta della procura di rilasciare lui e Ofitserov su cauzione fino al processo di appello.
Il blogger è in libertà vigilata e non potrà lasciare la capitale. Ma durante il mini comizio ha confermato che correrà per la poltrona di sindaco della capitale, sfidando in autunno il putiniano Sobyanin. «Noi siamo una forza potentissima - ha concluso - e voi dovete andare avanti in ogni caso. Non fermatevi! Devono liberare tutti: Khodorkovskij, Alekhina e Tolokonnikova (le attiviste delle Pussy Riot, ndr), andiamo avanti».
Quando il blogger e i suoi lasciano la stazione su fuoristrada dai vetri oscurati, una corpulenta donna con un vestito ricoperto di spille e adesivi pro-Navalny continua a volantinare. Si chiama Ekaterina Maldon, ha 40 anni e quattro figli. Ci guarda con grandi occhi color ghiaccio e racconta che il presidente russo l'ha «spinta verso l'opposizione a calci», che in realtà l'opposizione non la convinceva tanto.
L'ultima volta che l'hanno arrestata è quando ha cercato di consegnare a Putin un clistere come regalo di compleanno. «Non ho altra scelta. Devo fare queste cose. Putin è come Hitler. Possibile che voi europei non l'abbiate ancora capito?».
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