NO PASARÁN - L'OPPOSIZIONE INTERNA AL PD GIÀ IMPEGNATA IN PARLAMENTO CONTRO L'ACCORDO RENZIE-BANANA SULL’ITALICUM, MA IL ROTTAM'ATTORE HA IL SEMAFORO VERDE DEL QUIRINALE

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Carlo Bertini per "La Stampa"

Ora ha inizio la via crucis, tutti lo sanno, il primo scoglio da superare domani mattina, quando in aula ci sarà il voto segreto sulle pregiudiziali di costituzionalità sollevate dai piccoli partiti, Sel e Popolari. Dunque anche ora che il nuovo accordo è siglato non c'è da stare tranquilli, ma Matteo Renzi sa più di quanto altri sappiano e quindi non si turba più di tanto.

Mentre alla Camera fa scalpore la presa di distanze dell'Ncd che non firma l'accordo siglato, mentre nel Pd gira voce che Alfano è infuriato perché ora se lui prende il 4% resta fuori e invece la Lega è dentro grazie alla norma che la tutela; mentre qualcuno prevede che per questo l'ultima concessione verrà fatta al Senato limando quella soglia al 4%, al Nazareno il leader racconta a un deputato della cerchia stretta: «Alfano ha detto che loro faranno scena sulle preferenze e sulle soglie, ma sta dentro al patto perché la cosa che voleva di più sono le candidature multiple».

E dunque al Tg1 Renzi si professa «molto ottimista» e non si preoccupa degli agguati dei franchi tiratori. Perché «sarebbe il colmo che quelli che non sono riusciti a fare una legge fino ad oggi si nascondano dietro il voto segreto». Intanto però il capogruppo Speranza, che ieri mattina è stato a rapporto dal leader nella fase più calda, tra una telefonata e l'altra con Berlusconi, quando torna alla Camera si sente dire dal bersaniano Zoggia che «se non si rimette la legge sulle primarie qui rischia di saltare tutto».

È un punto dolente (l'altro è la rappresentanza di genere) tanto che si pensa di infilare la norma sulle primarie facoltative al Senato nella legge sul finanziamento ai partiti, ma tra i capi del gruppo Pd l'allarme c'è. Per questo si valuta se imporre la regola del dito in bella evidenza che consente di mostrare il proprio voto pure a scrutinio segreto senza poter far scherzi...

Il segretario però è convinto che «l'accordo confezionato e migliorato possa essere approvato rapidissimamente». E va sparato per la sua strada: lavora già sulla riforma del titolo V e del Senato e prepara la direzione del sei febbraio dove si parlerà di lavoro e quella del 13 dove si parlerà di Europa ed europee.

Ma come sempre i tempi accelerati della politica fanno volgere lo sguardo al «dopo», a cosa succederà al governo, se ci sarà o meno il rimpasto che possa rafforzarne l'azione. Ma di nuovo Renzi chiude la porta, «la politica non è scambio di poltrone, il Paese ha bisogno di volare, di misure per l'occupazione, in tutta Europa si torna a crescere: di rimpasto, poltrone e ministri lasciamo che se ne occupino gli addetti ai lavori, noi ci occupiamo di cose serie».

Liquida così la faccenda il leader Pd con un'altra frecciata al premier che certo non passerà inosservata. E se è vero che il tempo gioca a sfavore di una eventuale corsa alle urne a maggio con le europee, anche se la nuova legge fosse approvata a marzo al Senato, a sentire un renziano della prima ora, «non si può escludere che si voti in autunno, Matteo ha già detto che tecnicamente si può fare anche durante il semestre europeo...».

E che il tempo sia tiranno lo si capisce ascoltando colui che si dovrà occupare della riscrittura dei collegi, il sottosegretario agli Interni, il fioroniano Giampiero Bocci. «Abbiamo aperto già la pratica e certo 45 giorni sono pochi...», dice a un collega di corrente. «E se non ce la fate, poi la pratica viene in Parlamento e ci pensiamo noi a farla stare qui sei mesi...».

Risate, battute, che fanno capire il clima. Nico Stumpo chiede «ma volete che il Senato non cambi almeno una virgola e la faccia tornare alla Camera?». E l'ex Ds Danilo Leva vede già approvato in aula «l'emendamento del compagno Lauricella, che lega l'entrata in vigore della legge alla riforma che abolisce il Senato». Ma i frenatori sono divisi, mentre il bersaniano D'Attorre attacca un accordo «che sembra disegnato per Berlusconi», il leader dei «turchi» Orfini lo sfotte, «parla a nome della minoranza della minoranza. Sbagliano, perché ogni prova di forza vinta da Renzi non fa che rafforzarlo».

 

 

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