L’ULTIMA VELTRONATA CONTRO IL MAGO DALEMIX: PRIMARIE NEL PD! - IL SOGNO DI WALTERLOO: ROMPERE IL TABÙ DELLO STATUTO DEL PD PER IL QUALE IL SEGRETARIO È AUTOMATICAMENTE IL CANDIDATO PREMIER DI TUTTO IL PARTITO ALLE PRIMARIE DI COALIZIONE - LA CARTA COPERTA: ROSI BINDI IN TANDEM CON NICHI VENDOLA - BERSANI AVVERTE: “SE IL PROBLEMA SONO IO LO SI DICA CHIARAMENTE: BASTA GIOCHETTI”…

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Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera

Walter Veltroni potrebbe compiere la sua mossa già dopodomani, alla Direzione del Pd. In quella sede l'ex leader potrebbe appoggiare l'ipotesi, avanzata da un suo fedelissimo, il senatore Stefano Ceccanti, di rompere il tabù dello statuto. Quello secondo il quale il segretario è automaticamente il candidato premier di tutto il partito alle primarie di coalizione. Il che impedisce agli altri Democrats che vogliono partecipare a quella gara (un nome per tutti, Matteo Renzi) di scendere in lizza.

L'idea è quella di indire le primarie nel Pd per il candidato premier, «ridando così centralità al partito». Questo, ovviamente, nel caso in cui si vada ad elezioni nel 2013, perché se il voto, invece, verrà anticipato al prossimo anno il candidato sarà Pier Luigi Bersani. E il segretario, per prevenire le mosse di Veltroni, avverte: «Se il problema sono io lo si dica chiaramente: basta giochetti».

Quello di Veltroni, comunque, non è un escamotage per mettere i bastoni tra le ruote all'attuale segretario. Tant'è vero che persino un dalemiano di ferro come Matteo Orfini, che pure non sposa l'ipotesi delle primarie, conviene sul fatto che «nel 2013, di fronte al desiderio di molte personalità, da Bindi a Renzi, di candidarsi bisognerà affrontare la questione politicamente». Neanche Orfini, quindi, crede all'intangibilità dello statuto. E non si può dire che sia un simpatizzante di Veltroni.

L'ex segretario, infatti, se decidesse di portare avanti questa proposta con forza, già lunedì in Direzione o il 10 ottobre all'assemblea nazionale della sua area, potrebbe trovare lungo la strada degli alleati insperati e non propriamente «amici». Rosy Bindi, tanto per fare un nome non a caso. La presidente del Pd in questa fase sembra non volere sfidare Bersani sulla premiership. Anzi, ripete ogni volta che il problema dello statuto non si pone.

Ma in molti nel Pd ritengono che la sua sia soltanto tattica. E le sue mosse vengono studiate con attenzione anche dai bersaniani, come vengono soppesate le indiscrezioni secondo cui gli ambienti prodiani avrebbero già scelto lei come possibile candidata, magari in tandem con Nichi Vendola.

L'ex premier formalmente si tiene lontano dalle beghe del partito. E quando, a mo' di battuta, nel febbraio scorso candidò Bindi premier, si affrettò subito dopo a precisare che la sua non era una proposta. Prodi, per ora, si limita a dire che il Pd «va un po' scosso» (ed è anche questa la ragione che lo ha spinto a firmare i referendum).

Comunque, l'attivismo della presidente del partito non sfugge a nessuno. Ha sottoscritto i quesiti referendari. Ha cavalcato la protesta contro i radicali, rei di non aver votato la sfiducia a Romano, costringendo il capogruppo Franceschini ad inseguirla. Ha sparato a zero contro il Pd siciliano che appoggia la giunta Lombardo.

Ha continuato in questo periodo a mantenere buoni rapporti con i movimenti, tant'è vero che i «no Tav», l'altro giorno, hanno chiesto proprio a lei di mediare per riaprire un confronto sulla questione. Insomma, Bindi non sta certamente con le mani in mano, anche se ripete a tutti - e soprattutto a Renzi - che il candidato premier è il segretario.

Dunque, se si andrà a votare nel 2013 i giochi nel Pd si riapriranno inevitabilmente. Ma a quel punto, avvertono gli ex ppi che militano nelle diverse correnti del partito, «il prossimo candidato non potrà venire dai Ds, perché non possiamo trascinarci ancora nella vecchia dialettica D'Alema-Veltroni».

 

 

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