Alessandro De Angelis per la Stampa - Estratti
giorgia meloni
Sarà anche l’argomento più noioso del mondo, ma va presa sul molto serio questa chiacchiera sulla legge elettorale. Rivela che Giorgia Meloni è già entrata in modalità elettorale. Del resto, coi tempi e la percezione della politica di oggi, la primavera 2027 non è un’eternità. E la questione è semplice. La premier sa che, a differenza della volta scorsa, gli altri troveranno un modo per mettersi assieme. Le prossime sono elezioni troppo importanti: si vota per il governo ma il futuro Parlamento sarà chiamato anche ad eleggere il successore di Sergio Mattarella.
Il centrodestra ha sempre vissuto quel Palazzo, dai tempi di Oscar Luigi Scalfaro in poi, come un “ostacolo”.
(...) Ebbene, a legge elettorale vigente la vittoria per il centrodestra non è affatto scontata, perché, con gli altri che si uniscono, diventa contendibile il grosso dei collegi nel centrosud. Di qui l’idea di un cambio di regole: via i collegi, legge elettorale proporzionale con un premio di maggioranza alla coalizione che supera una soglia (attorno al 40-42 per cento).
il video di giorgia meloni per la festa dei lavoratori 4
Chi la raggiunge ottiene il 55 per cento dei seggi che garantisce la governabilità. Last but not least, indicazione del premier sulla scheda, questione con ricadute politiche non banali. Va presa dunque sul serio dunque la chiacchiera, innanzitutto perché conviene al centrodestra che ha da solo, in Parlamento, i numeri per approvarla. È vero: con un meccanismo siffatto gli alleati si consegnano a Giorgia Meloni. Però è anche vero che la premier ha convincenti motivazioni per esercitare la sua forza persuasiva.
Dirà: signori cari, qui non è questione di filosofia, senza la legge che dico io balliamo sia per il governo sia, quando sarà, per il Colle; come dico io invece, stiamo più tranquilli su entrambi i fronti.
antonio tajani, giorgia meloni e matteo salvini in senato foto lapresse
E in fondo l’impianto è coerente col premierato, che sarà approvato alla fine di questa legislatura, per poi andare a referendum dopo il voto. Va presa sul serio perché la riforma pensata ha una sua logica – è così in molti paesi europei – ed è costituzionale. Non lo era il famigerato Porcellum, che non aveva una soglia per attribuire il premio di maggioranza. E infatti fu bocciato dalla Corte. Ma quel criterio “soglia-premio” non fu affatto messo in discussione dalla medesima Corte quando si pronunciò sull’Italicum, legge che saltò per altri motivi dopo la bocciatura nelle urne della riforma costituzionale di Matteo Renzi. E va presa sul serio perché, politicamente, è un dito nella principale piaga del centrosinistra. Ovvero squaderna in quel campo la principale contraddizione che, finora, era stata risolta con un trucco furbesco.
ELLY SCHLEIN GIUSEPPE CONTE
Quel “lodo Franceschini”, secondo cui si può stare assieme nei collegi senza essere una coalizione in termini politici con un programma comune e un candidato premier sulla scheda. Nell’euforia si citò Mao (“marciare divisi, colpire uniti”), in verità lo schema è di una banale accozzaglia: ogni orchestrale suona la sua musica e poi si vede chi farà il direttore d’orchestra. Se sarà approvata la riforma che ha in mente Giorgia Meloni, il centro-sinistra sarà costretto, come ai tempi di Romano Prodi, ad essere cioè una coalizione vera con un “capo” che, si presume, dovrà esprimere una posizione comune sui temi più spinosi, dall’Europa alle armi. C’è da scommettere che Giuseppe Conte non vorrà incoronare Elly Schlein, che qualcuno proporrà le primarie, che qualcun altro lancerà l’idea di un “Papa straniero” e che mettere a punto un programma sarà un’impresa. Anche qui: conviene mettersi assieme, ma per la prima volta non basta essere solo “contro”.
GIUSEPPE CONTE E ELLY SCHLEIN
ELLY SCHLEIN CONTE
elly schlein giuseppe conte genova, manifestazione per le dimissioni di giovanni toti