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NON ABBASSARE LAGARDE - LO STALLO DELLE TRATTATIVE GRECHE È DOVUTO SOPRATTUTTO AL FMI: È IN BALLO LA SUA RIELEZIONE, E LAGARDE E SI È RICORDATA DI RAPPRESENTARE IL MONDO E NON SOLO L'EUROPA

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LAGARDE VAROUFAKISLAGARDE VAROUFAKIS

Federico Rampini per “la Repubblica

 

Dietro le ultime condizioni poste dai creditori della troika alla Grecia, c’è la mano di Christine Lagarde: “l’altra donna più potente del mondo”, che con Angela Merkel ha avuto un peso determinante nella crisi greca. Tagli più sostanziosi alle pensioni, con l’allungamento dell’età pensionabile a 67 anni entro il 2022 (sia pure salvaguardando i pensionati più poveri). Un ridimensionamento drastico di quella stangata fiscale sulle imprese a cui il governo Tspiras voleva affidare il risanamento dei conti pubblici. Tutto questo era contenuto nelle richieste avanzate dai tecnici del Fmi.

 

Le aveva ribadite il capo economista Olivier Blanchard, francese come Lagarde, nel suo blog una settimana fa: “Occorre una riduzione della spesa pensionistica per l’1% del Pil”. Ieri la direttrice generale ha annunciato che sarà disponibile per un nuovo mandato al vertice del Fmi, se glielo chiederanno i membri dell’organizzazione. A questo punto i giochi per l’elezione al vertice del Fmi diventeranno anche un giudizio degli Stati membri su come è stata gestita la crisi greca.

 

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Gli equilibri geopolitici in seno al Fondo aiutano a capire l’irrigidimento evidente che c’è stato verso Atene. Le “due Washington” si sono mosse quasi sempre in sintonia: da una parte la capitale federale degli Stati Uniti, dall’altra la sede del Fondo stesso che si trova a pochi isolati dalla Casa Bianca e dal Tesoro Usa. La sintonia si spiega anche col fatto che l’America rimane l’azionista di maggioranza relativa dell’organismo.

 

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Sulla Grecia si era partiti con una diversa ripartizione dei compiti tra americani ed europei. All’inizio di una crisi che gli americani giudicano folle nella sua durata (cinque anni per un paese che pesa meno del 2% del Pil dell’eurozona), Barack Obama e i suoi ministri del Tesoro erano le “colombe”. Toccava a loro il compito di criticare l’euro-austerity, e non esitavano a farlo a gamba tesa.

 

Ci furono dei summit europei in cui il precedente segretario al Tesoro Tim Geithner si “auto-invitò” per portarvi le pressioni di Obama, preoccupato che la Grecia potesse scivolare tra le braccia di Putin. In quanto all’altra Washington, i tecnici del Fmi davano sostanzialmente ragione a Obama. Uno studio del Fondo che fece scalpore dimostrava in modo irrefutabile gli effetti dannosi dell’austerity.

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Col passare del tempo le due Washington sono diventate meno comprensive verso Atene. Hanno giocato anche dei fattori personali: all’ultimo meeting del Fondo sia gli uomini di Obama che Lagarde hanno avuto un pessima impressione del ministro dell’economia greco Varoufakis, più impegnato a cercare applausi nei convegni che a studiare i dossier. Ma soprattutto è cresciuta la fronda dei paesi emergenti in seno al Fmi, esasperati per il troppo tempo e le troppe risorse dedicate alla Grecia, in confronto a quanto fatto quando a trovarsi in difficoltà furono paesi veramente poveri.

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Il malumore degli emergenti ha incrociato un’altra vicenda che ha messo in allarme Obama: la creazione da parte della Cina della Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), in palese concorrenza con la Banca Mondiale. Un nuovo organismo nel quale Pechino è riuscita ad attirare non solo molti paesi asiatici ma anche nazioni europee alleate dell’America, dall’Inghilterra alla Germania all’Italia.

 

Con questo gesto la Cina ha lanciato una sfida all’ordine di Bretton Woods e alle sue istituzioni. Ha interpretato il malumore di tutti gli emergenti, esasperati per l’evidente “occidento-centrismo” del Fmi. Un problema annoso, con le quote di “azionariato” del Fmi che non riflettono più i veri equilibri e rapporti di forze tra le nazioni.

 

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Questo ha accelerato l’irrigidimento verso Atene, sia da parte di Obama che di Lagarde. Ciascuno ha prospettive diverse, e Obama resta preoccupato che Tsipras vada verso la Russia. Lagarde è più esposta di lui, di fronte all’ira degli emergenti, tanto più se inizia per lei una campagna per la rielezione. Come ha dimostrato quella sfida cinese, le due Washington non possono più permettersi di dare alla Grecia un’attenzione così smisurata a scapito di tanti altri paesi che contano.