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LA LIBIA È UNA POLVERIERA PRONTA A ESPLODERE - LA MORTE DI ABDEL GHANI AL-KIKLI, UNO DEI COMANDANTI MILIZIANI PIÙ POTENTI DEL PAESE, HA FATTO PRECIPITARE LA SITUAZIONE GIÀ DELICATA A TRIPOLI. KIKLI È STATO AMMAZZATO IN UN AGGUATO - I MANIFESTANTI SCESI IN STRADA CHIEDONO LE DIMISSIONI DEL PREMIER ABDULHAMID DBEIBAH: TRE MINISTRI DEL GOVERNO SI SONO DIMESSI - L'INSTABILITÀ POLITICA RISCHIA DI MANDARE IN TILT IL SETTORE ENERGETICO LIBICO - IL RUOLO DELLA RUSSIA, CHE POTREBBE PAPPARSI LA CIRENAICA E...
Daniele Ruvinetti per www.med-or.org
Negli ultimi giorni, la situazione in Libia ha conosciuto un ulteriore deterioramento. Le proteste popolari contro il governo guidato da Abdulhamid Dbeibah sono esplose con una forza inaspettata, culminando in manifestazioni di massa a Tripoli. La richiesta dei manifestanti è chiara: le dimissioni del primo ministro e del suo esecutivo. In risposta, tre ministri hanno per ora rassegnato le dimissioni, e con loro alcuni sottosegretari, segnalando una crescente frattura interna.
Questi eventi si inseriscono in un contesto già estremamente fragile, segnato da violenti scontri tra gruppi armati rivali e da una crescente delegittimazione dell’autorità centrale. Le dimissioni ministeriali rappresentano un punto di svolta, rivelando un indebolimento critico della capacità di governo.
Allo stesso tempo, le infrastrutture petrolifere, pilastro dell’economia libica, sembrano continuare a funzionare regolarmente, almeno secondo le dichiarazioni della compagnia nazionale del petrolio (NOC).
Tuttavia, la tenuta del settore energetico non può essere data per scontata. Il rischio che il caos politico e militare si estenda anche agli asset strategici del Paese è concreto, soprattutto se le proteste dovessero radicalizzarsi o se le milizie utilizzassero la leva energetica per rafforzare le proprie posizioni.
Uccisione di Abdel Ghani Al-Kikli - Gheniwa
Il quadro suggerisce che la Libia sia entrata in una nuova fase di transizione critica, in cui il dissenso popolare si salda con la crisi delle strutture statali. Il fallimento delle elezioni promesse e la persistenza di una governance armata priva di legittimità democratica alimentano una spirale di instabilità. In assenza di un’iniziativa politica forte e multilaterale — sostenuta dalle Nazioni Unite e da attori regionali ed europei — il rischio è che la crisi degeneri ulteriormente, compromettendo la sicurezza dell’intera regione euro-mediterranea.
La Libia è di nuovo sull’orlo del collasso. La capitale Tripoli, dopo mesi di instabilità latente, è precipitata questa settimana in una nuova spirale di violenza urbana innescata dall’uccisione di uno dei comandanti miliziani più potenti del Paese, Abdel Ghani al-Kikli. A capo del Dispositivo di Supporto alla Stabilità (SSA), Kikli incarnava la fusione opaca tra autorità formale e potere armato che ha segnato la parabola del sistema tripolino post-Gheddafi. La sua morte, avvenuta in un agguato durante una riunione a Tripoli, ha scatenato una reazione a catena che potrebbe ridefinire — in chiave ancora più instabile — gli equilibri militari e politici in tutta la Libia occidentale.
giorgia meloni a tripoli con Abdulhamid DBEIBAH
La calma delle armi è attualmente rientrata, ma sotto la superficie la situazione ribolle. Nei giorni successivi all’eliminazione di Kikli, le sue basi sono state occupate da milizie rivali allineate al governo di unità nazionale. La capitale è entrata in stato d’assedio, con scontri tra miliziani, blackout, scuole chiuse e l’aeroporto di Mitiga evacuato. L’uso di droni armati e mortai ha trasformato per qualche ora gli scontri in una vera e propria guerra urbana, con la partecipazione attiva di gruppi fino a poco tempo fa integrati negli apparati di sicurezza dello Stato.
L’uccisione di Kikli segna la fine di una fase: quella in cui lo Stato cercava di contenere le milizie attraverso forme ibride di cooptazione e legittimazione. Il suo gruppo era divenuto un attore semi-statale, con accesso a fondi pubblici, influenza economica e capacità di condizionare la burocrazia. Il suo dominio si fondava su una rete di interessi trasversali e sull’impunità garantita dalla sua utilità tattica per l’equilibrio della capitale.
Uccisione di Abdel Ghani Al-Kikli - Gheniwa
Ma questo modello è arrivato al limite. Il controllo esercitato dalla Banca centrale libica sulla distribuzione delle risorse ha ridotto il margine d’azione delle milizie, accendendo tensioni latenti. L’escalation è stata aggravata dalla competizione tra gruppi come la Brigata 444 e le forze di deterrenza di Souq al-Juma, che stanno ridefinendo i rapporti di forza nella capitale. Le accuse rivolte al premier Dbeibah di aver autorizzato operazioni senza il consenso del Consiglio Presidenziale contribuiscono ad alimentare ulteriormente il clima di crisi istituzionale.
Parallelamente, la Cirenaica osserva e si muove. La dichiarazione di mobilitazione generale da parte di Misurata, in risposta a movimenti militari provenienti da Sirte — in parte controllata dalle forze di Khalifa Haftar — evidenzia il rischio di una saldatura tra il collasso del fronte tripolino e una nuova avanzata orientale. Haftar potrebbe sfruttare il vuoto di potere per rafforzare le proprie pretese nazionali.
giorgia meloni a tripoli con Abdulhamid DBEIBAH
Il caos a Tripoli è dunque più di una faida interna: è l’epilogo (temporaneo) di una strategia che ha favorito la frammentazione e legittimato attori privi di accountability. Gli effetti collaterali sono già visibili: proteste popolari, crisi umanitaria, paralisi istituzionale e perdita di controllo su snodi strategici. Le riforme annunciate — come la ristrutturazione degli apparati di sicurezza — rischiano di rimanere superficiali senza un intervento politico forte e inclusivo.
Il rischio di regionalizzazione del conflitto è concreto. La Libia, già terreno fertile per interessi stranieri, potrebbe tornare a essere leva geopolitica per attori esterni intenzionati a destabilizzare l’area mediterranea. La Russia, in particolare, potrebbe approfittare del vuoto istituzionale per espandere la propria influenza in Africa e fare pressione sull’Europa meridionale. In questo senso, la sicurezza libica si conferma un nodo critico nella stabilità euro-mediterranea.
Per l’Italia e per l’Unione Europea, la crisi impone un cambio di approccio: è necessario costruire un quadro di sicurezza credibile e lavorare alla riduzione progressiva delle milizie, rilanciando un processo politico realistico che limiti l’autonomia dei gruppi armati. L’iniziativa dell’Onu — mirata a creare un esecutivo trasversale e inclusivo — può rappresentare una base utile, ma avrà bisogno di un sostegno multilaterale strutturato per evitare che la Libia si trasformi definitivamente in un epicentro di instabilità, migrazione irregolare e penetrazione strategica ostile al cuore del Mediterraneo.
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