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LIBIAMO! - PATTO TRA GENTILONI E IL PREMIER LIBICO SERRAJ PER BLOCCARE LE PARTENZE DEI MIGRANTI - LE CRITICHE DI ONG E AGENZIE ONU - LE FORZE DELL’ORDINE CHE DOVREBBERO CONTENERE LE PARTENZE DEI BARCONI SONO INFILTRATE DALLE MAFIE: “SARÀ PIÙ DURA DELLA LOTTA ALL’ISIS”

GENTILONI SERRAJGENTILONI SERRAJ

Alberto D’Argenio per la Repubblica

 

L’Italia firma un memorandum di tre anni con la Libia per bloccare le partenze dei migranti attraverso il Canale di Sicilia. L’accordo arriva al termine di una due giorni europea del premier libico Fayez al Serraj, che in serata a sorpresa vola a Roma per incontrare il capo del governo Paolo Gentiloni. L’intesa sarà benedetta oggi dai leader della Ue che si ritroveranno a Malta proprio per cercare di chiudere la rotta mediterranea e varare un piano che ingloberà, finanzierà ma a sua volta si farà guidare dall’accordo siglato a Palazzo Chigi. L’obiettivo finale è rendere capace la guardia costiera libica di pattugliare le sue acque e bloccare i barconi dei trafficanti di essere umani, chiudendo i flussi verso le coste italiane.

 

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Per una volta Italia ed Europa lavorano a stretto contatto, il governo costruisce l’intesa con Tripoli con l’aiuto dell’Alto rappresentante Federica Mogherini, dei presidenti di Commissione e Consiglio, Juncker e Tusk, che coordinano gli altri governi. Proprio Tusk, che mercoledì era stato a Palazzo Chigi, ieri mattina ha ribadito che «è tempo di chiudere la rotta dalla Libia all’Italia ». Serraj trascorre due giorni a Bruxelles dove vede i vertici delle istituzioni europee e della Nato.

 

Assicura che Tripoli resta «impegnata nella lotta al terrorismo » ma all’Europa chiede più soldi e aiuti. A porte chiuse parla del tentativo di unificare politicamente la Libia – sostenuto da Bruxelles – e si dice pronto a costruire una guardia costiera capace di controllare le coste, obiettivo ora cruciale per gli europei visto che di far entrare la missione navale Sofia nelle sue acque territoriali Serraj non ne vuol sapere: «Non lo consentiremo, vogliamo un comando congiunto per ammodernare la flotta libica».

 

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In serata l’incontro a Roma, al termine del quale Gentiloni parla di «giornata importante che conferma la nostra amicizia e collaborazione su diversi fronti». Il memorandum tra Italia e Libia riattiva il Trattato di amicizia firmato da Gheddafi e Berlusconi nel 2008 e parla di «determinazione ad individuare soluzioni urgenti alla questione dei migranti clandestini che attraversano la Libia per recarsi in Europa via mare». Si tratta di mettere i libici nelle condizioni di istituire un blocco navale e trattenere i migranti sul suo territorio, chiudendo la rotta mediterranea.

 

Roma si impegna a dare «supporto tecnico e tecnologico» alle guardie costiera e di frontiera sotto il comando di Tripoli. Inoltre l’Italia finanzierà programmi di crescita nelle regioni di transito dei migranti. Ci sarà collaborazione per chiudere le frontiere meridionali della Libia dove passano le rotte dei trafficanti mentre la Libia si impegna a predisporre «campi di accoglienza temporanei in attesa del rimpatrio o del rientro volontario nei paesi di origine».

 

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Per venire incontro alle critiche delle Ong e delle agenzie Onu - contrarie a lasciare i migranti in Libia dove vengono detenuti in condizioni disumane e soggetti a violenze inaudite - Roma e Tripoli si impegnano ad adeguare e finanziare i centri di accoglienza. L’Italia ne formerà il personale e fornirà medicine e attrezzature mediche, la Libia si impegna a sostenere le organizzazioni internazionali nel suo territorio (Unhcr e Iom). Entro tre mesi si cercherà di sviluppare «una visione euro-africana più completa e ampia per eliminare le cause dell’immigrazione clandestina sostenendo i Paesi d’origine». Oggi a Malta gli europei lanceranno un piano identico ma su scala continentale che rafforzerà e completerà quello italiano, finanziandolo con 200 milioni messi a disposizione da Bruxelles con l’obiettivo di puntellare Serraj e istituire una forza navale libica per bloccare i migranti entro la primavera.

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2. CON LA POLIZIA DEL MARE A TRIPOLI “QUI LA GUARDIA COSTIERA FA AFFARI INSIEME AI TRAFFICANTI DI UOMINI”

 

Vincenzo Nigro per la Repubblica

 

La caserma della “ Coastal Security” di Tripoli è poche centinaia di metri dietro le “Cinque torri”, i piccoli grattacieli costruiti al tempo di Gheddafi che qui chiamano le “Johnny Walker” perché sembrano cinque enormi bottiglie di whisky rovesciate e piantate in terra. Il comandante è il colonnello Tarek Issa, uno fra gli ufficiali più seri e responsabili che i poliziotti del Ministero degli Interni italiano abbiano incontrato nei mesi di negoziato che hanno portato agli accordi delle ultime ore.

 

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La base è un compound di prefabbricati e piccole costruzioni basse, lontano dal mare; nel cortile di terra battuta i soldati lavano un’auto, chattano ai telefonini. «Qui facciamo addestramento e gestiamo le unità, poi in tutta la Libia da Est a Ovest ci sono 10 basi e 55 punti di presenza, lungo i 1960 chilometri delle coste», dice il colonnello. Issa è uno dei tanti comandanti della Coastal Police.

 

Che a sua volta è una delle tante guardie costiere di Libia. Perché in Libia le polizie del mare così come le polizie e le milizie sono decine, centinaia. La Coastal Security di quelle basi ne controlla da Tripoli forse il 10 per cento. E una cosa è sicura: delle altre non tutte lavoreranno per difendere la legge, per fermare i traffici di migranti, perché tanti lavorano proprio per i trafficanti, e vengono pagati dalle mafie criminali.

 

«Noi siamo la Coastal Police che dipende dal Ministero dell’Interno, poi c’è la guardia costiera che dipende dalla Difesa, con le sue basi e sue barche, poi ci sono le milizie», dice il colonnello. Gli chiediamo: molti della guardia costiera sono accusati di lavorare con i trafficanti, di chiudere un occhio in cambio di soldi: voi cosa ne sapete? «Io parlo della mia forza di polizia, parlo dell’accordo che abbiamo fatto nel 2013 con il Ministero italiano. Adesso speriamo finalmente possa farci avere le navi promesse e l’addestramento che serve ai miei 4.000 uomini. Il resto….».

 

migranti in libiamigranti in libia

Il resto è il problema gigantesco della lotta al traffico di migranti e agli altri contrabbandi nella Libia del 2017. «Le mafie hanno infiltrato, ricattano molte delle unità di polizia, delle guardie costiere delle varie città e villaggi libici », dice una fonte italiana che non vuole essere citata. «Se alla fine combattere l’Isis a Sirte ha trovato quasi tutti d’accordo, combattere le mafie dei migranti, del contrabbando di petrolio, di droga e di armi sarà un’impresa colossale ».

 

Nel 2016 in Italia sono arrivati oltre 180 mila migranti, quasi tutti dalla Libia, quasi tutti dai porti a Ovest di Tripoli, nei pochi chilometri che vanno verso la Tunisia. Lì ci sono basi della guardia costiera e comandanti non solo al servizio, ma anche a capo dei trafficanti. A Est di Tripoli, soprattutto attorno a Misurata, il traffico è sotto controllo: le milizie di Misurata dopo aver sconfitto l’Isis a Sirte (i terroristi però si stanno radunando nel Sud) hanno imposto il loro ordine su un lungo tratto di costa.

 

Da Tripoli verso la Tunisia invece è il regno dell’illegalità. L’intelligence europea conosce i nomi e le organizzazioni: a Zawiyah, il paradiso dei traffici di Libia, un capitano della guardia costiera, Abdurrahman Milad, è il capo dei trafficanti. È lui che ogni notte dà luce verde alle partenze dei barconi. È in contatto, in affari con i trafficanti che dal Sud fanno risalire i migranti verso il Mediterraneo, li “depositano” vicino alla costa e li passano ai trafficanti che li imbarcano per l’Italia.

 

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Facciamo un salto all’ambasciata d’Italia, il presidio europeo riaperto fra mille difficoltà il 10 gennaio. Con l’ambasciatore Giuseppe Perrone ci sono altri 2 diplomatici, Andreina Marsella e Steve Forzati, assieme ai carabinieri del Tuscania, ai funzionari amministrativi e ai dipendenti locali. Sabato scorso un’autobomba è esplosa mentre i due attentatori forse provavano a parcheggiarla proprio vicino al muro di cinta. «Non è chiaro fino in fondo chi siano i responsabili», dicono a Tripoli; anche a Tunisi, nella sede dell’Onu, ci sono ancora dubbi sulla “firma” dell’attentato. «Uomini del generale Haftar? Non è possibile dirlo, l’unica cosa sicura è che non era una bomba dell’Isis, sarebbe stata diversa e molto più potente», raccontano fonti europee.

 

L’altra notte l’ambasciatore Perrone ha fatto le ore piccole con i colleghi del ministero degli Esteri libico e con lo stesso ministro Siala per firmare l’accordo che poi Serraj ha portato a Roma da Gentiloni. «La cosa importante, che condividiamo al 100% con i libici, è che traffici, contrabbandi, illegalità e terrorismo si potranno fermare solo aiutando uno Stato libico a consolidarsi, aiutando le aree più dimenticate della Libia a risollevarsi economicamente e socialmente». Quindi sostegno a Serraj, negoziato con Haftar e con l’Est, e aiuti economici al Sud, per fermare trafficanti e terroristi. Vista da Tripoli, nella calma apparente del giovedì prima della festa islamica, è una missione impossibile. «Ma non abbiamo alternativa, per questo siamo qui», dicono nella piccola, coraggiosa ambasciata bianca.

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