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Maria Giovanna Maglie per Dagospia
La strage di Orlando è arrivata come un regalo insperato alla campagna di Donald Trump che viveva un momento di stanca, i suoi avversari di partito pronti a tentare ancora una volta una congiura di palazzo, la Clinton in risalita dopo la conquista della nomination democratica, il gigantesco gruppo di comunicatori dem preparato a sferrare un attacco formidabile al razzista, inaffidabile, cialtrone, bancarottiere, evasore fiscale, populista Donald?
donald trump sulla strage di orlando
Oppure la strage di Orlando è arrivata come un evento inevitabile e annunciato, da San Bernardino in avanti, proprio dal candidato repubblicano, che allora propose di bloccare temporaneamente le frontiere e fu messo all'indice come un clown che mai e poi mai sarebbe riuscito a scalare la stagione delle primarie?
Le domande sono tante, spesso poste malissimo da media avvelenati con The Donald, mai come quest'anno lontani dalla difesa del cittadino dal potere, vicinissimi al fastidio del potere che non controlla tutti e due i candidati. Non sarà un caso se un sondaggio Gallup rivela che gli americani stanno perdendo fiducia nei media, dal 20 al 10 per cento negli ultimi dieci anni, assieme al crollo delle tv, dal 31 al 21 per cento.
donald trump sulla strage di orlando
Il politically correct imposto da Obama sulla strage ha trasformato per qualche ora gli States in Corea del nord, ma è durato poco, il tempo che le notizia prevalessero, e a dire il vero, che Hillary Clinton si ricordasse di essere in campagna elettorale, facesse a Obama il gesto dell'ombrello e le pronunciasse le due parole tabù, sia pure in ritardo:Islam radicale.
Poi ha tirato fuori un sapiente progetto di lotta al terrorismo condotta con la polizia e i servizi segreti ai cosiddetti lupi solitari; peccato che quel tipo di indagini e di provvedimenti si possano intraprendere con un qualche successo solo se si accantonano una serie di libertà civili , di facilitazioni di ingresso, e di concessioni alla privacy, che costituiscono la parte integrante del suo programma presidenziale.
Trump invece se ne infischia, e all'americano arrabbiato e spaventato questo suona come garanzia in una fase nella quale di garanzie si sente privo. Un esempio da Florida Today, ché i giornaloni sono un po' stitici di investigative reporting in questa vicenda. Un ex collega del terrorista, Daniel Gilroy, già agente di polizia, che ha lavorato con lui nel 2014 e 2015, racconta di essersi lamentato con il capo del comportamento instabile e delle dichiarazioni pericolose di Omar Mateen.
I due erano impiegati come guardie armate del G4S, un istituto di vigilanza che protegge importanti edifici federali. Alle denunce di Gilroy, il capo rispose che non poteva far niente contro Mateen, perché “è musulmano”. Finì che l'altro cominciò a minacciarlo, forse aveva saputo, fino a trenta messaggi al giorno, e lui decise di licenziarsi e andarsene lontano da uno che parlava sempre di uccidere gente.
Che è poi la stessa cosa di quella coppia di San Bernardino che dopo la strage ammise di aver avuto sospetti, ma di aver taciuto per paura di esporsi come razzista. Che è poi quel che Trump va denunciando da mesi, che l'America non è in grado di difendersi perché è guidata da leader deboli e conniventi.
orlando florida strage nella discoteca gay 9
Nelle ultime 48 ore, New York Times, Washington Post, Politico.com, ma anche numerosi e infiniti dibattiti di Cnn e Cbs, hanno sottolineato l'occasione mancata da Trump, che per colpa di una “lack of empaty”, mancanza di empatia, avrebbe perso l'occasione offertagli da Orlando. Che cosa significa? Che in queste occasioni il Paese si unisce, mette da parte le note polemiche, nessuno rivendica di aver ragione, il presidente non si attacca, le cerimonie di lutto e ricordo si fanno con preti, rabbini e imam tutti assieme appassionatamente.
orlando florida si messaggi di un ragazzo intrappolato nel bagno 2
Invece il candidato repubblicano ha accusato Obama di essere o incapace o in malafede, e lo ha invitato a dimettersi, tra lo sconcerto dei notabili repubblicani e dei commentatori conservatori moderati, i quali si sarebbero detti, e se lo sono detto in tv e ai giornali: con questo irresponsabile le possibilità di vincere sono zero, non è capace di allargare l'area del consenso agli indipendenti, non si presenterà mai come un comandante in capo responsabile e affidabile, uno che nei momenti tremendi non perde la testa.
omar mateen invito ad uscire un collega poliziotto
Oggi però proprio sul Washington Post il columnist Chris Cillizza è costretto a raccontare di essere stato sommerso da messaggi che affermavano il contrario di quanto da lui sostenuto, ovvero che un sacco di “smart people”, di bella gente, anche fra i democratici, gli ha detto che Donald Trump ha ragione a trattare così un gesto di terrorismo, e che la gente non ha nessuna voglia di empatia, ma di forza e leadership. Non avevano dichiarato subito dopo le stragi di Parigi, e ancora prima di San Bernardino, sei americani su dieci di sentirsi in guerra?
omar mateen frequentava il pulse
La visione convenzionale americana delle cose, conclude sconsolato Cillizza, è cambiata, a nessuno in realtà interessa tenere insieme il Paese, gli interessa che ci sia qualcuno che con gusto e rabbia denuncia gli errori, e una risposta dura da un comandante in capo. In questo clima non solo Obama appare inadeguato, rischia danni seri la campagna della Clinton ogni volta che Trump ricorderà quella frase pronunciata al Council of foreign affairs “ mettiamo una cosa bene in chiaro, l'Islam non è nostro avversario, i musulmani sono un popolo pacifico e tollerante, che nulla ha a che fare con il terrorismo”.
Nel dibattito americano, e nella diatriba pro e contro Trump, l'Europa ha un suo posto., come luogo infelice e incosciente che corre verso il baratro, nel quale le elites progressiste al pari di quelle americane si preoccupano più di evitare l'islamofobia che di suonare l'allarme sui pericoli per la popolazione e per la cultura. Scrive the American Spectator che della parola diversità non se ne può più, e che non se ne può più di sentir dire che è razzista voler vivere secondo i valori occidentali e voler resistere a importare persone che aumentano la possibilità di essere uccisi.
La fortuna dell'America non è stata nella diversità, ma nella capacità di superare i problemi della diversità, facendo sentire e agire tutti da americani. Il generale Carl Spaatz, che rase al suolo mezza Germania, era di origine tedesca.
Questa certezza sta scomparendo, l'America comincia a sembrare l'Europa, una terra di conquista, invasa da gente che vuole tutti i diritti, anche la cittadinanza, e pretende di cambiare le regole, che brucia la bandiera a stelle e strisce e agita quella messicana. Gli apostoli del multiculturalismo e della diversità stanno a guardare in silenzio, conclude the American Spectator. Compreso il presidente degli Stati Uniti.
Detta così, sembra che gli Stati Uniti sotto choc non possano che affidarsi a Donald Trump. Ma la campagna è lunga, e quella del fango qualche arma ce l'ha.
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