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Ernesto Menicucci per il “Corriere della Sera”
La signora che lo blocca all' entrata («'a Marchì, ma tu lo conosci il Quartaccio?») è la stessa che, all' uscita, ha gli occhi lucidi: «Non me la dovevi fare... M' hai commosso».
Auditorium della Conciliazione, platea gremita (duemila persone sui seggiolini rossi, altri in piedi), qualche politico di vecchio conio (Luciano Ciocchetti, Andrea Augello, Vincenzo Piso), la delegazione mandata da Corrado Passera, un gruppetto di ex consiglieri comunali che si dimisero per far cadere Ignazio Marino, Manuela Di Centa e Michele Placido, l' attore Riccardo De Filippis (ha recitato nella serie «Romanzo Criminale») e il generale della Finanza Ugo Marchetti, due dei figli dell' imprenditore, ma anche molta gente comune, facce non viste della politica romana.
Un popolo, dice Alfio Marchini dal palco, di «coraggiosi», perché - insiste - «come mi disse un vecchio saggio il mondo è di Dio, ma lo affitta agli uomini coraggiosi». È il lancio della candidatura-bis dell' imprenditore, che già tre anni fa tentò la scalata al Campidoglio prendendo il 9,4% dei consensi e che all' epoca puntava soprattutto a raccogliere i voti dei delusi del centrosinistra.
Ma ora, nel 2016, di acqua sotto i ponti del Tevere ne è passata molta e Marchini, pur dichiarandosi «né di destra né di sinistra: i professionisti della politica hanno tradito il popolo, abbiamo impedito i loro inciuci», gioca nel campo dei moderati.
Lo dice chiaramente, quando evoca la necessità di costruire «una grande cattedrale laica su quattro pilastri: libertà di parola, di religione, dal bisogno e dalle paure». Un concetto, aggiunge Marchini, che era «quello impresso nelle Am-lire degli americani nel 1948».
Una nuova identità, o meglio «una nuova ideologia, perché siamo tutti ex qualcosa: repubblicano come me, oppure di sinistra, della Dc, del movimento sociale. Queste identità non vanno buttate via, sono le nostre radici, ma vanno portate nel futuro, in un' altra dimensione».
L' imprenditore lascia al suo braccio destro Alessandro Onorato, «regista» politico del movimento, l' esposizione del programma elettorale: dieci aree di intervento, dieci azioni concrete per ciascuna, cronoprogramma preciso (primi tre mesi, primo anno, fine mandato), studio sulle soluzioni adottate da 28 città del mondo (da Los Angeles a Trento).
Marchini, invece, va sui «massimi sistemi». Che Roma vuole? «Noi romani siamo famosi per i nostri ponti. Ecco, ne costruiremo di nuovi. Tra la Roma del centro e quella delle periferie, ad esempio». Di certo non verso Guido Bertolaso: «Sembra un bambino che si fa organizzare dal padre una gara dove è l' unico concorrente».
Poi quasi lo sfida: «Fugge dal confronto, in tivù e in radio. Venga qua, le leadership si conquistano confrontandosi. Noi ci abbiamo messo cuore e faccia». Anche soldi, nel suo caso: «Una signora mi ha detto: "Sei quello ricco". Non lo sono, ma ho usato i miei soldi per candidarmi, facendo anche sacrifici». E a quel punto, in sala, anche alla signora anziana scappa un sorriso.
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