mattarella giorno della memoria

“AUSCHWITZ È LA CONSEGUENZA DIRETTA DELLE LEGGI RAZZISTE, IGNOMINIOSAMENTE EMANATE ANCHE IN ITALIA DAL REGIME FASCISTA” - MATTARELLA, ALLA CERIMONIA PER LA SHOAH AL QUIRINALE, INSISTE SULLE RESPONSABILITA’ DEL FASCISMO (RIBADITE ANCHE DALLA MELONI) E CITA PRIMO LEVI (“LA PESTE SI È SPENTA, MA L’INFEZIONE SERPEGGIA”) - "LA STORIA DEL LAGER NON È UNA PARENTESI, PER QUANTO ORRENDA. RAPPRESENTA UNA TENTAZIONE CHE SOVENTE RIAFFIORA” – POI SI SCAGLIA CONTRO GLI “IGNOBILI INSULTI RAZZISTI ALLA SENATRICE SEGRE” E SOTTOLINEA "L'ANTIDOTO" DELLA COSTITUZIONE CHE…

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Marzio Breda per il Corriere della Sera - Estratti

 

mattarella auschwitz giorno della memoria

«Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia». Ha la durezza di uno schiaffo la vecchia denuncia di Primo Levi che Sergio Mattarella utilizza a 80 anni dall’apertura dei soldati sovietici del più grande campo di sterminio hitleriano. È la notifica di un pericolo di contagio (antisemita e non solo) che ci sovrasta sempre, quella del capo dello Stato, e non per caso la declina al presente, ai «tempi difficili che stiamo attraversando». Infatti, aggiunge, la storia del Lager «non è una parentesi, per quanto orrenda». Rappresenta «una tentazione che sovente riaffiora», un incubo che «alberga in fondo al cuore dell’uomo». Ancora oggi.

 

 

giorno della memoria mattarella

(…) La risposta è nota. Ma a lui preme ripeterla, a maggior ragione dopo che l’ha appena fatta propria pure la premier Meloni. «Auschwitz è la conseguenza diretta delle leggi razziste, ignominiosamente emanate anche in Italia dal regime fascista e dalla furia antiebraica nazista, di cui il regime fascista e la Repubblica di Salò furono complici e collaboratori, fino alla soluzione finale». Che rappresenta «l’abisso più profondo e oscuro nella storia dell’umanità».

 

Meglio essere chiari, a scanso del mito degli italiani brava gente. Meglio riconoscere che «anche con la sconfitta del nazifascismo in Europa e con la ripresa delle democrazie, le ferite non si sono mai del tutto rimarginate».

 

Certo, «non bisogna perdersi d’animo», esorta Mattarella, ma una controprova che «l’urlo dell’intolleranza» non si è spento e passa «sempre più spesso sui social», viene dagli «ignobili insulti razzisti alla senatrice Segre». Occorre mettere un argine. «Sono reati gravi che vanno perseguiti a tutela della libertà e della giustizia», dice, guardando Liliana Segre, in prima fila davanti a lui. La senatrice, per inciso, ha appena testimoniato un particolare capitolo dei suoi mesi ad Auschwitz, quando si trovò a poter raccogliere la pistola di un comandante del Lager in fuga e sparargli, ma non lo fece, scoprendosi da allora «donna di pace».

GIORNO DELLA MEMORIA CERIMONIA AL QUIRINALE CON LA RUSSA E MELONI

 

In questo scenario in bilico tra passato (che non passa) e futuro, il presidente indica un antidoto: la Costituzione. È il testo fondativo della Repubblica e, per lui, una bussola morale e politica per andare oltre la tragedia della Shoah.

 

La Carta è nata, rammenta, proprio «per cancellare i principi, le azioni, le parole d’ordine del cupo dominio nazifascista». Al posto dell’odio, lo scudo costituzionale prevede la pace e la collaborazione, promuove l’eguaglianza e la giustizia, il confronto e il pluralismo, la democrazia, la partecipazione, le garanzie.

 

L’opposto di quanto predicato da tirannie e dispotismi.

 

liliana segre

Tutto si tiene, tra l’ieri e l’oggi. Compresa l’invasione dell’Ucraina, maturata con «slogan e falsificazioni di nazionalismo sciovinista che appartengono a un passato condannato dalla storia». E compreso anche il conflitto in Medio Oriente, dopo «l’orrore del 7 ottobre» e dopo quel che è avvenuto di «sconvolgente sulla Striscia di Gaza, provocando la morte di tante migliaia di innocenti civili palestinesi». Certo, si è giunti a una tregua. Va però rispettata e rafforzata attraverso la soluzione «due popoli due Stati», unica strada per «dissolvere i giacimenti d’odio che sono cresciuti». Chissà.

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