TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA ANDATE A…
Estratto dell’articolo di Alessandro Barbera per “La Stampa”
Lo stop senza precedenti è maturato alle 21 di ieri sera con un'indiscrezione diffusa alle agenzie di stampa. «Fonti del Quirinale confermano la contrarietà del Capo dello Stato alla modifica inserita nel decreto fiscale alla legge sul finanziamento pubblico ai partiti».
Il blitz con cui la maggioranza e il Pd si erano accordati per raddoppiare la quota delle somme a disposizione della politica era maturato in mattinata nella commissione Bilancio del Senato. Due emendamenti gemelli del partito di Elly Schlein e di Alleanza Verdi e Sinistra chiedevano di aumentare l'attuale tetto del due per mille da 25 a 28 milioni di euro. Il governo aveva colto la palla al balzo con una riformulazione che avrebbe portato quei fondi ad almeno 42 milioni.
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Per ricostruire la frizione clamorosa fra Parlamento e Quirinale occorre partire dalle obiezioni di metodo del Capo dello Stato, quelle che hanno complicato i piani della politica. Non appena lette le agenzie di stampa Sergio Mattarella ha sottolineato un'anomalia ormai diventata prassi: la «mancanza di omogeneità delle materie in discussione nel decreto» che avrebbe permesso attraverso un semplice emendamento ad un «impatto notevole» sulle finanze pubbliche ma soprattutto per fondi che derivano «dalle scelte dei cittadini».
Detta in sintesi: Mattarella ha contestato la decisione di procedere con un blitz su una materia delicata come il finanziamento pubblico alla politica. Se il Parlamento vuole farlo, occorre una legge ad hoc. […]
[…] L'emendamento al decreto fiscale proposto dal governo e stoppato dal Quirinale puntava a destinare al finanziamento della politica un ulteriore 0,2 per mille dell'intero gettito Irpef. Detta più semplicemente: a partire dal 2025, e dunque nei bilanci del 2026 i partiti avrebbero dovuto contare sulla distribuzione in via proporzionale di altri 18 milioni di euro di risorse pubbliche per un totale di 42 milioni.
Non una cifra enorme, abbastanza per spingere il Capo dello Stato a sottolinearne il significato simbolico. Lo 0,2 per cento avrebbe dovuto essere distribuito in proporzione alle opzioni dei contribuenti sul due per mille e avrebbe premiato i partiti più grandi.
Facciamo qualche esempio: il Pd, che nelle ultime dichiarazioni aveva avuto il 30 per cento delle scelte, avrebbe visto salire il contributo pubblico da 8 a 12 milioni di euro. Il due per mille a Fratelli d'Italia scelto da circa il 20 per cento sarebbe aumentato da 4,8 a 8,4 milioni. Il Movimento Cinque Stelle, che aveva avuto il 10 per cento delle opzioni, avrebbe incassato 4,2 milioni invece di soli 1,8, la Lega oltre due milioni invece di 1,1.
Al netto dei rilievi formali del Quirinale i fatti dicono che il sistema in vigore nell'ultimo decennio ha contribuito a peggiorare la trasparenza del finanziamento alla politica e aumentato la corruzione. Negli anni si sono moltiplicate le erogazioni dei privati attraverso opache fondazioni riconducibili ai singoli partiti o politici.
L'ultimo caso è l'inchiesta di Genova che ha spinto alle dimissioni del presidente della Liguria Giovanni Toti, destinatario di finanziamenti dei quali non c'era traccia nei bilanci delle sue fondazioni. [...]Lo stop del Quirinale ora impone ai partiti di ripartire da zero con un accordo alla luce del sole.
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