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Paolo Baroni per “la Stampa”
La «bomba» è destinata ad esplodere attorno al 2050. Ma questa volta non sarà tanto un problema di tenuta dei conti, visto che più o meno la spesa previdenziale resterà stabile attorno al 16% del Pil nonostante l’invecchiamento della popolazione. Sarà una bomba sociale, che avrà come protagonista l’attuale «generazione mille euro», che quando andrà in pensione percepirà una pensione che sarà molto più bassa del salario già misero che percepisce oggi. Nei casi più estremi, infatti, non arriveranno a 400 euro netti al mese.
MILLENNIALS NEI GUAI
Il Censis stima che il 65% dei giovani (25-34 anni) occupati dipendenti di oggi, ovvero due su tre, avrà una pensione sotto i mille euro, pur con avanzamenti di carriera medi assimilabili a quelli delle generazioni che li hanno preceduti, considerando l’abbassamento dei tassi di sostituzione. E la previsione riguarda i più «fortunati», cioè i 3,4 milioni di giovani oggi ben inseriti nel mercato del lavoro, con contratti standard.
Poi ci sono altri 890 mila giovani autonomi o con contratti di collaborazione e quasi 2,3 milioni di Neet, ragazzi che non studiano né lavorano, che avranno ancora meno. «Se continua così, i giovani precari di oggi diventeranno gli anziani poveri di domani» segnala nelle scorse settimane il Censis. Dunque, se in prospettiva un problema di previdenza si pone, riguarda innanzitutto quella «solidarietà tra generazioni», evocata tra l’altro giusto ieri Matteo Renzi.
L’EFFETTO CONTRIBUTIVO
Il regime contributivo puro, che dalla riforma Fornero in poi si applica a tutti, secondo il Censis «cozza con la reale condizione dei millennials». E non a caso il 53% di loro pensa che la loro pensione arriverà al massimo al 50% del reddito da lavoro. La loro pensione dipenderà dalla capacità che avranno di versare contributi presto e con continuità. Ma il 61% di loro ha avuto finora una contribuzione pensionistica intermittente, perché sono rimasti spesso senza lavoro o perché hanno lavorato in nero.
Per avere pensioni migliori, con la previdenza integrativa che stenta a decollare, l’unica soluzione è lavorare fino ad età avanzata. Ma non è detto che il mercato del lavoro degli anni a venire lo consenta: per ora i dati sull’occupazione ci dicono che il percorso è tutto in salita, visto che tra il 2004 ed il 2014 l’occupazione degli under 34 è scesa del 10,7% bruciando 1,8 milioni di posti.
Genitori e fratelli maggiori della «generazione mille euro», comunque, non se la caveranno tanto meglio. Secondo calcoli recenti della Ragioneria dello Stato anche chi andrà in pensione dal 2020 in poi avrà una pensione decisamente ridotta rispetto a quanti hanno lasciato il lavoro nel decennio precedente. In molti casi il loro assegno non supererà il 60% dell’ultimo stipendio. percentuale che scende addirittura sotto al 50% per gli autonomi.
L’EQUITÀ POSSIBILE
Come rimediare? L’idea che Tito Boeri ha lanciato su lavoce.info a gennaio, prima insomma di prendere la guida dell’Inps, è quella di introdurre un contributo di solidarietà a carico di quel milione e 800 mila pensionati che oggi percepisce un assegno che supera i 2000 euro netti tenendo conto dello scostamento fra pensione effettiva e contributi versati.
Il taglio dei trattamenti, attraverso una serie di aliquote progressive, sarebbe compreso tra il 3 ed il 7% e frutterebbe circa 4,2 miliardi. Che secondo un esperto di previdenza come Alberto Brambilla potrebbe venire destinati ad una maggiore defiscalizzazione della previdenza complementare dei lavoratori più giovani. In maniera tale, come auspica anche Boeri, si avvicinare un poco padri e figli.
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